Coronavirus e smart working, i lavoratori da casa in Lombardia sono già due milioni

Lunedì 9 Marzo 2020 di Francesco Bisozzi
Coronavirus e smart working, i lavoratori da casa in Lombardia sono già due milioni

Questo lunedì si calcola che in Lombardia circa due milioni di persone lavoreranno da casa, la metà degli occupati complessivi. Per la Fondazione studi consulenti del lavoro in Italia ci sono 8,3 milioni di potenziali smart worker, la maggior parte dei quali si trova proprio al Nord, dove stando alle stime ammontano a più di 5 milioni i dipendenti in condizione di lavorare da casa se necessario. L’ultimo decreto anti-coronavirus che ha chiuso la Lombardia e posto il lucchetto ad altre 14 province in Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Marche ha messo in allarme però le aziende. A differenza però dei precedenti decreti, quello emanato domenica notte ha aperto agli spostamenti motivati da «comprovate esigenze lavorative». Le merci potranno continuare a circolare a patto che chi le trasporti non sia malato, come precisato dal governo in una nota esplicativa. Assolombarda ha chiesto di adottare misure di prevenzione e di cautela nei confronti dei trasportatori. 

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L’associazione territoriale di Confindustria delle imprese che operano nelle province di Milano, Monza Brianza e Lodi ha spronato da un lato le aziende a ricorrere il più possibile allo smart working e dall’altro ha ribadito che non sono previsti blocchi alle attività produttive dal momento che rientrano tre le «comprovate esigenze lavorative» tutte le attività di impresa. Sempre Assolombarda ha provato a chiarire alcuni nodi del decreto in vigore fino al 3 aprile: «Gli autisti non possono scendere dai mezzi e devono essere muniti di dispositivi medici di protezione e prevenzione, quali mascherine e guanti monouso». Se le operazioni di carico e scarico richiedono la discesa dal mezzo dei trasportatori deve essere mantenuta la distanza di sicurezza di un metro. La documentazione di trasporto, infine, va trasmessa in via telematica. Il direttore di Confindustria Marcella Panucci ha ammesso che l’associazione di viale dell’Astronomia ha ricevuto fin da subito moltissime richieste di chiarimenti interpretativi: «Abbiamo sentito il ministro dello Sviluppo economico, Palazzo Chigi nonché il Viminale e tutti ci hanno confermato che rientrano tra le comprovate esigenze lavorative tutte le attività di impresa». Il presidente di Confindustria Veneto chiede maggiore chiarezza: «Bene l’ultimo decreto contro l’epidemia, che ha esteso la zona rossa anche alle province di Padova, Venezia e Treviso, ma cittadini e imprese vanno tranquillizzate. La continuità produttiva e lavorativa, seppur sottoposta a regole e controlli stringenti, va garantita a ogni costo». In realtà molti industriali delle zone rosse del Veneto sono sul piede di guerra. Assindustria Venetocentro, che rappresenta tremila imprese concentrate nei territori di Padova e Treviso, in un duro comunicato ha chiesto ieri al governo di dimettersi: «È necessario tutelare anche le nostre imprese e i loro collaboratori, altrimenti si rischia di distruggere il tessuto socio-economico del Nord produttivo».
 

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