Covid-19, garanzia sui prestiti rischia già di arenarsi: non tutti avranno i 25 mila euro

Giovedì 16 Aprile 2020 di Roberta Amoruso e Andrea Bassi
Covid-19, garanzia sui prestiti rischia già di arenarsi: non tutti avranno i 25 mila euro

ROMA Sulla «poderosa» (copyright del premier Giuseppe Conte), iniezione di liquidità nelle imprese italiane, quantificata in 750 miliardi di euro, è iniziato una sorta di gioco del cerino. Un sostanziale scaricabarile preventivo per allontanare da se le probabili proteste del mondo produttivo quando i soldi non arriveranno, o non arriveranno a tutti i richiedenti, e non arriveranno in tempi certi.

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Partiamo dal Fondo di garanzia Centrale, quello che dovrebbe erogare i prestiti lampo fino a 25 mila euro con pochissime formalità perché garantiti al 100% dallo Stato, e i prestiti fino a 5 milioni alle imprese che hanno al massimo 499 dipendenti. Il decreto liquidità ha potenziato il fondo con circa 250 milioni di euro, dopo che nel decreto di marzo erano stati stanziati altri 1,5 miliardi. Il governo ha considerato che ogni euro di garanzia ne potesse attivare 15-20 di nuovi prestiti.

Il miliardo e mezzo, insomma, avrebbe potuto garantire liquidità fino a 30 miliardi. Che aggiunti alle risorse già disponibili nel Fondo, sempre con quei rapporti, sarebbero potuti arrivare fino a 100 miliardi. E invece il consiglio di amministrazione dello stesso Fondo, ha deciso di accantonare un euro ogni tre garantiti. Significa che se tre partite Iva chiedono 25 mila euro in prestito, si ritiene che almeno una di loro non restituirà i soldi.

LA POSIZIONE
Evidentemente una posizione difensiva. Le banche sono manlevate dalla garanzia al 100% dello Stato e, in linea teorica, potrebbero concedere i prestiti senza pensarci troppo. Lo Stato presta la garanzia ma mette a disposizione solo 1,7 miliardi. Il gestore del Fondo è tra l'incudine e il martello. È quello che rischia di più, anche penalmente, se non valuta bene su quali prestiti concede la garanzia. Certo, con soli 1,7 miliardi sarà impossibile garantire prestiti a 4,5-5 milioni di partite Iva che avrebbero diritto ai 25 mila euro. Bene che va, con le risorse disponibili, solo un decimo di loro riuscirà ad accedere ai soldi. A meno che, nel prossimo decreto, il governo non riempia le casse del Fondo con una decina o più di miliardi di euro.

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Lo stesso discorso vale anche sul versante dell'altro gestore delle garanzie pubbliche, la Sace, che dovrebbe attivare ben 200 miliardi di prestiti avendo a disposizione solo un miliardo di euro. Una impensabile leva di un euro garantito che attiva 200 euro di liquidità. Ma non c'è soltanto il nodo delle risorse. Un altro nodo è la procedura di valutazione per i prestiti compresi, appunto tra 25.000 euro e 800.000 e quelli per le grandi imprese a sollevare molti dubbi tra le banche. Nel disciplinare inviato ieri da Sace alle banche per la dovuta consultazione, la società ha sintetizzato in quattro passaggi il percorso che porterà un'impresa ad ottenere il bonifico. Ma il passaggio cruciale toccherà, a quanto pare, alle banche. Saranno gli istituti a dover fare una valutazione della pratica e aprire un'istruttoria formale.

Solo ad esito di questa procedura, in cui vengono analizzati tutti i documenti presentati, scatterà la garanzia della Sace al 90% (e 10% da parte dei Confidi). Un atto quasi formale, un semplice «riscontro» che in massimo 48 ore fa scattare l'attribuzione del codice identificativo Cui e di fatto la garanzia pubblica. Dunque, è risultato confermato anche dai contatti di chiarimento avuti ieri che l'onere della valutazione spetta alle banche. Di qui il rischio altissimo che per le pratiche tra 25.000 e 800.000 euro si allunghino molto i tempi. Si parla di 15 giorni, nella migliore delle ipotesi, dalla presentazione di tutti i documenti. Con tempi ancora più lunghi per i dossier oltre 800.000 euro, non prima di giugno. E non potrebbe essere altrimenti visto che nel decreto liquidità, e nemmeno nel disciplinare, si fa alcun cenno a una deroga alle norme del testo unico bancario e della vigilanza a cui devono attenersi gli istituti.
 


LA PRIORITÀ
La priorità per le imprese è avere liquidità immediata.
Ma non è pensabile per le banche un'istruttoria leggera che sia nello stesso tempo attendibile sulla fotografia e i piani futuri di un'impresa. Soprattutto di questi tempi. Il rischio non è soltanto economico, e cioè il rischio di un default dell'impresa. Il rischio alto in questo caso per le banche è che la banca sia coinvolta in un'eventuale accusa di concorso in bancarotta. Con l'aggravante che, essendoci dietro la garanzia dello Stato, scatti anche il danno erariale. È evidente che andrà trovato un compromesso per alleggerire la responsabilità delle banche se si vogliono davvero accelerare i tempi. Basterebbe un meccanismo di salvaguardia che renda più cogente e più di peso l'autocertificazione a cui sono tenute le aziende. È il principale tema di discussione al Tesoro. Per il resto le banche sono pronte. E non a caso ieri l'Abi ha sottolineato «gli adempimenti, non dipendenti dalle banche, non ancora completati» e come le «misure di liquidità necessiterebbero di semplificazioni». Senza dimenticare il richiamo alle «norme di vigilanza e della sana e prudente gestione» cui sono obbligati gli istituti.

Ultimo aggiornamento: 12:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA