Coronavirus, Di Lieto (Innovery): «Il modello Corea con le app può salvare vite e farci tornare prima alle nostre abitudini»

Mercoledì 25 Marzo 2020 di di Roberta Amoruso
Controllo con il thermoscanner
Arriverà anche in Italia il modello della Corea del Sud? Per limitare i contagi e soprattutto i decessi hanno giocato un ruolo cruciale le app che tracciano ogni movimento di chi è stato in contatto con infetti. Dunque è scattato da subito, forti dell'esperienza Mers, un rpotocollo di tracciamento, test e isolamento di chi è venuto in contato con persone infette, basato sull'utilizzo della tecnologia digitale, tamponi estesi ma mirati alle persone così individuate. Ma soprattutto c'è stata la collaborazione della popolazione che si à sottoposta a screening volontario. Proprio così, volontario. Per essere più chiari: se una persona  veniva a conoscenza di essere stato in possibile contatto con un soggetto infetto grazie alle App che segnalavano i luoghi frequentati nei giorni precedenti dagli stessi soggetti infetti, chiedeva di essere sottoposto a screening.

Tutto questo è possibile in Italia?
Si tratta di cedere alcuni dati personali. E questo significa investere il quadro normativo relativo alla protezione dei dati personali (Regolamento GDPR), le direttive europee e le leggi correlate che non a caso prevedono una certa flessibilità sul trattamento di tali dati in condizioni di emergenza nazionale e, soprattutto, che potrebbe aiutare a gestire il controllo degli spostamenti durante l’epidemia. 

E allora, cedere i nostri dati personali allo Stato ci aiuterebbe a tornare prima alle nostre vite?
Giancarlo Di Lieto, Head of Security di Innovery, azienda specializzata in cyber security è convinto che questa sia la strada da seguire.  Dal punto di vista tecnologico ci sono tutti gli elementi per poter realizzare in poco tempo un sistema di tracciamento, più complicata sarà magari l'analisi e la gestione di una mole di dati così ampia.
Resta da capire se, anche in questa circostanza straordinaria, sarà data più importanza alla tutela dei nostri dati personali o alla libertà dei nostri spostamenti, fa intendere Di Lieto, pur sapendo che sarebbero costantemente monitorati.


Quali possono essere le paure degli italiani?
 
«Molti cittadini cedono, inconsciamente a volte, i propri dati personali ad aziende come Google o Apple, attraverso l’utilizzo dei dispositivi mobili basati sui sistemi operativi dei due colossi dell’ICT. Chi banalmente possiede uno smartphone di queste aziende consente a queste ultime di aver accesso a diverse informazioni: dati personali, numeri di telefono e la propria posizione. Il tema quindi diventa semplice: cediamo “quasi involontariamente” i nostri dati a multinazionali straniere e ora ci facciamo scrupoli nel cederli “volontariamente” al nostro Stato per tutelare e salvare vite umane?».

Cosa prevede la legge sulla privacy?

«Dal punto di vista legislativo, il Considerando 46 del GDPR recita che “il trattamento di dati personali è considerato lecito quando è necessario per proteggere un interesse essenziale per la vita di una qualunque persona fisica... Per esempio se il trattamento è necessario a fini umanitari, tra l’altro per tenere sotto controllo l’evoluzione di epidemie e la loro diffusione o in casi di emergenze umanitarie, in particolare in casi di catastrofi di origine naturale o umana”.

Le condizioni dunque ci sono. Come potrebbe funzionare in Italia?
In questa “eccezionale” situazione i dati personali potrebbero essere acquisiti dalle Autorità Pubbliche per tutelare delle vite umane. Si apre quindi anche un altro tema delicato. Il modello di controllo dei contagi tramite applicazioni che monitorano i contatti e gli spostamenti dei cittadini è già stato applicato con successo in nazioni come la Cina, Singapore, Corea del Sud e Israele, potrebbe diventare un sistema valido anche per l'Italia, dove una delle questioni più pressanti è lo stato di agitazione generato dalle limitazioni imposte agli spostamenti.

Questo permetterebbe anche di limitare le restrizioni alla libertà di tutti?

«In Corea del Sud, ad esempio, i cittadini subiscono meno restrizioni sugli spostamenti che stanno interessando noi italiani. Utilizzando app che monitorano i contagi del Covid-19 attraverso il tracciamento degli spostamenti e dei contatti avvenuti tra le persone, coloro che non hanno avuto interazioni con i contagiati possono muoversi in libertà. Ci troviamo quindi davanti al dilemma di cedere alcuni nostri dati personali per poterci spostare di nuovo "liberamente". Prosegue Di Lieto, riflettendo anche sull'utilizzo di queste tecnologie nelle zone più sotto stress, e continua “ma ciò potrà avvenire solo a valle di una valutazione di impatto privacy mediante la quale potranno essere analizzati accuratamente i rischi sui diritti e le libertà dei cittadini, valutandone la proporzionalità rispetto alle esigenze perseguite».

Significa quindi cedere sulla privacy pur di salvare vite umane e tornare prima a una vita-seminormale?

«Ritengo che questo monitoraggio possa essere molto utile nelle regioni più colpite, come la Lombardia, una volta che il picco sarà passato. Per cercare di scongiurare i rischi di una nuova diffusione del contagio, attraverso questo tracciamento si potrebbero garantire gli spostamenti a quei cittadini che non hanno avuto contatti con sintomatici e che hanno rispettato la quarantena, questo permetterebbe infatti un ritorno più cauto e dilazionato alla vita quotidiana».

 
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