Cassa integrazione 2022, la guerra in Ucraina mette a rischio molte aziende italiane: produzione ridotta in tanti stabilimenti

Stop alle forniture dai paesi in conflitto e blocco dell'export verso la Russia

Domenica 6 Marzo 2022 di Giusy Franzese
Cassa integrazione 2022, la guerra in Ucraina mette a rischio molte aziende italiane: produzione ridotta in tanti stabilimenti

Le lettere ai sindacati stanno già arrivando: «Causa ripercussioni del conflitto in Ucraina dobbiamo ridurre la produzione. Il personale sarà messo in cassa integrazione». C'è chi annuncia un paio di settimane, chi 5-6 giorni. Periodi ancora gestibili. Ma il timore è che non basteranno. «Dopo tutta la cassa Covid che abbiamo fatto, questa nuova tegola proprio non ci voleva. La situazione sembrava andare bene, non ce lo aspettavamo» confida un sindacalista.
Al Nord come al Sud e al Centro. Andranno in cassa integrazione i lavoratori delle acciaierie di Ferriere Nord, in Veneto. É il secondo stop alla produzione nel giro di una settimana, ma se il primo l'azienda è riuscita a fronteggiarlo ricorrendo ai permessi retribuiti, stavolta non c'è stato nulla da fare e verrà attivato l'ammortizzatore sociale. La durata dipenderà dallo sblocco delle forniture di materie prime in arrivo dall'Ucraina e dalla Russia.
Cassa integrazione anche per i lavoratori della Whirlpool a Melano (Ancona). Qui la decisione è dovuta alla chiusura dei negozi Ikea in territorio russo, con la sospensione delle forniture, compresi i piani cottura realizzati nello stabilimento Whirlpool di Melano. Alla cig sono interessati tutti i 550 dipendenti dello stabilimento che ha programmato di fermerà la produzione nei giorni 21,25,28,31 marzo e 1 aprile. Poi si vedrà.
Due le settimane di cig richieste per i circa settemila lavoratori dello stabilimento a Melfi del gruppo Stellantis: dal 26 febbraio al 13 marzo prossimo.

Gli attuali «scenari internazionali - hanno spiegato i sindacati - hanno pesanti ricadute sulla situazione produttiva a Melfi». Mancano i semiconduttori e ha inciso anche lo sciopero degli autotrasportatori contro il caro carburante, che ha «bloccato completamente lapprovvigionamento dei materiali». La guerra in Ucraina, inoltre, rischia di «aprire ulteriori criticità considerando che molti fornitori insistono nellEst Europa» ha spiegato l'azienda ai sindacati. D'altronde le maggiori case automobilistiche europee, da Bmw a Wolkswagen fino a Renault stanno facendo la stessa cosa con le loro fabbriche in Europa.

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I SETTORI
Da una parte lo stop agli approvvigionamenti dai due Paesi in guerra, dall'altra il blocco dell'export verso la Russia: per molte aziende il futuro è a rischio. Grano, mais, olio di girasole e poi ghisa, bramme di acciaio, e ancora argilla e componenti meccanici. Tanti i settori che si rifornivano di gran parte delle loro materie prime da Ucraina e Russia. Chi ha scorte consistenti, spera in una veloce conclusione dei negoziati di pace e va avanti così. E' il caso delle aziende del comparto ceramica: nel porto di Ravenna ci sono ancora tanti contaneir pieni di argilla arrivati da Mariupol fino a poco prima dello scoppio del conflitto. Sono sufficienti per due tre mesi di produzione. Diversa la situazione degli altri, compresi quelli che avevano fatture in pagamento e ora bloccate per forniture alla Russia. «Gli imprenditori hanno tenuto duro durante due anni di pandemia globale, hanno investito, si sono riorganizzati, ma, negli ultimi mesi, hanno dovuto rimboccarsi nuovamente le maniche per far fronte a un aumento esorbitante dei costi dellenergia, al rincaro delle materie prime o, spesso, allimpossibilità di trovarle, a cui si sono aggiunti maggiori costi di trasporto, blocchi e ritardi nelle consegne» dice Paolo Galassi, presidente di Api, lassociazione delle piccole e medie industrie. Il 30% delle aziende associate esporta in Russia e il 15% in Ucraina. Già a causa del caro energia c'è chi ha dovuto sospendere la produzione e mettere i dipendenti in cassa integrazione. Adesso la quota rischia di aumentare sensibilmente. Marino Fabiani, da 42 anni uno dei più importanti imprenditori del settore calzaturiero delle Marche, è disperato: «Se la guerra tra Russia e Ucraina dovesse andare avanti ancora per due, tre settimane, per la mia azienda sarà la fine. Già così non sarò in grado di pagare gli stipendi di marzo, il governo ci aiuti».
Nel magazzino del suo stabilimento di Fermo ci sono 4.900 paia di scarpe pronte per essere vendute in Russia, Ucraina, Siberia e Kazakistan. «È l85% della mia produzione. Ora rischiamo di buttarle via perché le scarpe passano di moda velocemente e non possiamo certo riproporle la prossima stagione» dice Fabiani. Non ci sono alternative: «Abbiamo fin da subito bisogno di attivare gli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione in deroga, altrimenti non ci resterà che chiudere e dire addio alle nostre aziende».

Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 15:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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