Automotive, incentivi contro la crisi. «Ma per l'elettrico manca un vero piano batterie»

Scudieri, presidente Anfia: in gioco 2.100 imprese e 250mila dipendenti

Lunedì 21 Febbraio 2022 di Diodato Pirone
Automotive, incentivi contro la crisi. «Ma per l'elettrico manca un vero piano batterie»

Cosa ne farà l'industria italiana dell'auto (di cui Stellantis è una faccia della medaglia) degli 8 miliardi in 8 anni che il governo le ha appena assegnato? Ancora non c'è un piano scritto nero su bianco per il passaggio all'elettrico. Ma a grandi passi si possono delineare le cinque missioni finanziate.
CINQUE MISSIONI
La prima fetta della torta andrà alla domanda delle famiglie (e ai concessionari) attraverso la rottamazione delle auto più vecchie.

Le altre quattro parti andranno all'offerta, cioè alle 2.100 imprese italiane che fabbricano i componenti delle auto o le assemblano e alle altre 3.600 collegate per un totale di oltre 250.000 dipendenti, 73 mila dei quali rischiano di finire in mezzo alla strada a causa dell'addio al diesel.

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Cosa faranno imprese e governo? Primo: daranno vita con i Politecnici (in primis Torino e Milano) a centri di ricerca sulle batterie elettriche, sull'idrogeno e su motori endotermici - come quelli che usiamo oggi per intenderci - capaci di usare carburanti sintetici o ricavati dalle piante.

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Secondo: plasmeranno con paesi non asiatici (Canada, Argentina, Serbia, paesi africani non ancora in mano ai cinesi) una catena di rifornimento di litio, cobalto e altre materie prime raffinate per batterie elettriche. Terzo: riconvertiranno una parte delle imprese italiane della componentistica (e quindi migliaia di lavoratori e di tecnici) allo smaltimento e alla rimessa in funzione dei miliardi di celle elettriche che saranno prodotte in futuro. Ovvero dei congegni che tra qualche anno garantiranno il grosso della mobilità e che sono complicatissimi da smontare perché si incendiano e contengono sostanze inquinanti. Queste imprese dovrebbero integrarsi con le gigafactory di batterie in costruzione in tutt'Europa (Stellantis ne farà una da 500.000 pezzi l'anno a Termoli, in Molise).

Quarto: utilizzeranno una parte dei fondi pubblici per creare imprese made in Italy più grandi e robuste. Ora, in media, le aziende italiane del settore hanno appena 50 dipendenti e devono vedersela con giganti come la francese Faurecia che si è appena fusa con la tedesca Hella e che di dipendenti ne ha 80.000. L'idea è di dare risorse alla Sace e alla Simest affinché finanzino imprese italiane in grado di fondersi, di allargare i loro stabilimenti in Italia o di acquisire aziende estere sul modello delle multinazionali tascabili che tante soddisfazioni sta dando all'industria italiana.
Insomma, dopo tanti anni di magra e di solitudine, finalmente l'industria dell'auto italiana sembra aver ritrovato una stella polare. «E' una svolta decisiva», riflette Paolo Scudieri, presidente dell'Anfia, l'associazione del settore, ma anche del gruppo Adler che produce componenti per auto in una sessantina di stabilimenti nel mondo. «I ministri Giorgetti, Cingolani e naturalmente il presidente Draghi non hanno solo compreso la delicatezza della fase che la rete industriale sta attraversando - dice Scudieri - ma ci hanno garantito prospettive a medio termine. Accade raramente in Italia, ma non li deluderemo perché l'industria dell'auto italiana ha sempre saputo superare le difficoltà tecnologiche che ha incontrato».

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Secondo Scudieri gli aiuti governativi arrivano al momento giusto. Perché la componentistica italiana oggi è ancora in grado di dire la sua all'estero, visto che nel 2020 ha esportato pezzi per ben 5 miliardi in più di quelli importati, coprendo il 10% dell'attivo della bilancia commerciale italiana. «Dunque ora possiamo fare un salto di qualità nella dimensione delle nostre imprese - dice Scudieri - Anche se dobbiamo ancora verificare tutti i dettagli degli aiuti, a partire dalla ripartizione delle risorse fra elettrico e non che sarà indicata più in là dal governo».
Ma per il presidente dell'Anfia non c'è in gioco solo l'automotive con i suoi posti di lavoro. «Il passaggio all'elettrico è un tema squisitamente geopolitico - sottolinea - Oggi la raffinazione delle materie prime per le batterie e la produzione delle celle sono concentrate in Asia, in particolare in Cina. L'Europa deve costruire un proprio sapere e proprie filiere elettriche: è una questione di democrazia tecnologica». Per Scudieri non va dimenticata la lezione della pandemia, con l'indisponibilità iniziale di mascherine, né quella della dipendenza del gas dalla Russia. «Né - chiosa - dobbiamo rinunciare per forza ai motori endotermici. Ci faremmo del male. Lo stop del 2035 per la loro produzione è irragionevole».

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Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 07:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA