L’Europa tira il freno a mano e congela la messa al bando delle auto a diesel e benzina dal 2035. «Un successo italiano», ha rivendicato sui social la premier Giorgia Meloni, convinta che «è giusto puntare a zero emissioni di CO2 nel minor tempo possibile, ma va lasciata agli Stati la libertà di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile».
Auto, Giorgia Meloni: «Il rinvio dello stop dei motori termici nel 2035 è un successo italiano»
IL FRONTE
Il dossier era dato ormai per chiuso dopo la luce verde dell’Europarlamento a febbraio e, infatti, il punto in agenda ieri nella riunione preparatoria dei rappresentanti permanenti aggiunti dei Ventisette doveva essere un mero passaggio di rito, in vista dell’approvazione formale della stretta “green” già calendarizzata in Consiglio per martedì prossimo.
«L’Italia ha svegliato l’Europa - ha commentato il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, che giovedì a Bruxelles aveva avuto scambi sul dossier con vari colleghi -. Mi auguro che ora ci sia una riflessione comune per una competitività sostenibile anche nel settore automotive». «Saremmo diventati importatori netti, lasciando un’Asia monopolista a decidere i prezzi, le imprese europee sarebbero state spiazzate da quelle asiatiche», ha fatto eco il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, secondo cui il divieto dal 2035 avrebbe prodotto «l’effetto Cuba, che si ha quando le classi medie non hanno soldi per comprare una tecnologia che costa molto e non c’è un ricambio del parco auto».
IL PERCORSO
Insomma, passa la linea italiana, ma poiché l’astensione vale come voto contrario, a pesare (e molto) è pure lo scetticismo di Berlino, dove sul futuro dell’auto si è spaccata la coalizione di governo fatta di socialdemocratici, verdi e liberali: questi ultimi, che esprimono il ministro dei Trasporti Volker Wissing, tirano dritto, fanno irritare gli alleati e chiedono che la Commissione Ue prenda sul serio il loro ultimatum in nome della neutralità tecnologica. Un’apertura, cioè, verso biocarburanti ed e-fuel così da continuare a fare andare i motori endotermici, ma senza produrre CO2. Anche il nostro Paese è d’accordo, ha spiegato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin: «L’elettrico non può essere l’unica soluzione, tanto più se continuerà, com’è oggi, a essere una filiera per pochi. I carburanti rinnovabili consentono di raggiungere importanti risultati ambientali evitando ripercussioni negative in chiave occupazionale e produttiva».
Se i polacchi confermano il secco no (e, semmai, impallinano le deroghe già concesse alla Motor Valley italiana e alle sue supercar), per sbloccare l’impasse i liberali tedeschi chiedono, invece, a Bruxelles regole chiare e certe sui combustibili alternativi: impegni politici precisi da subito, da tradurre in proposta legislativa. E non è un caso che, domani, ospite d’onore del ritiro del governo tedesco al castello di Meseberg, sarà proprio la connazionale (e, sulla carta, avversaria politica) Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione proverà a “salvare” uno dei dossier chiave del suo Green Deal, il piano per decarbonizzare l’Europa e renderla climaticamente neutra entro il 2050 (con un obiettivo intermedio, cioè il taglio della CO2 del 55% rispetto ai valori del 1990 entro il 2030). Ma anche dalla sua stessa famiglia politica del Ppe arrivano gli avvertimenti.
L’ampia maggioranza Ursula ha ricevuto un severo monito - ha sentenziato l’eurodeputato di Forza Italia Massimiliano Salini - perchè sulla transizione ecologica l’esecutivo Ue sta sbagliando. O corregge il tiro o saranno i cittadini a imporre il cambiamento, spazzandolo via con il voto del 2024». Cioè l’orizzonte che vogliono darsi centrodestra e destra Ue per provare a mettere in piedi una maggioranza organica conservatrice. I riposizionamenti in corsa sul Green Deal possono essere il primo laboratorio politico.
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