Difficile dire oggi se l’inflazione al galoppo sarà permanente e instabile, come teme qualcuno. O se la narrativa del ritorno agli anni ‘70 stia guadagnando terreno, a ragione oppure no. Ma è certo che la stangata di Natale ci sarà.
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LA TOP TEN
Ma vediamo nel dettaglio chi pagherà il conto più alto. Il primo rincaro choc in classifica tocca ai biglietti aerei per volare oltreconfine. Compagnie che viaggiano a capacità ridotta per il secco taglio dei voli hanno meno posti da offrire rispetto a un domanda in aumento nonostante la diffusione del virus, e quindi biglietti più cari. Senza contare l’effetto carburante. Il risultato è un più 51,3% per i voli internazionali, a fronte del 18,9% per quelli nazionali. Seguono a ruota i carburanti come gpl e benzina per i mezzi privati (+45,8%), e la bolletta di gas e luce. Al quinto posto c’è il gasolio per mezzi come gli autobus (+27,9%) davanti alle spese di riscaldamento (+26,8%). Tempi duri anche per chi impara a guidare: tra lezioni, esami, pratiche per patenti e controlli dei veicoli, l’aumento è del 16,1%. Colpa dell’aumento dei costi di revisione dell’auto. A chiudere la top ten ci sono i servizi postali. Persino la letterina per Babbo Natale costerà di più di un anno fa (+6,2%).
Allora si finirà per tagliare dove si può nello shopping natalizio. Oppure basta scegliere dove l’inflazione ha picchiato meno duramente.
IL CARRELLO DELLE FESTE
I prodotti più colpiti tra quelli scelti tradizionalmente a Natale sono gli apparecchi per la telefonia fissa: si arriva al 33,4% per l’effetto smart working che ha fatto spopolare anche i classici strumenti per fare le classiche “call” di lavoro. Mentre e-book reader e cuffie con microfono insieme ad altri apparecchi per la ricezione, registrazione e riproduzione di suoni e immagini superano il 15% di rincaro. Più o meno quanto una macchina da caffé o altri piccoli elettrodomestici simili. Va un po’ meglio ai giochi che si limitano a un più 6,5%, poco più di quanto va previsto per acquistare una bicicletta nuova (+5%). Meglio puntare sull’abbigliamento: in questo caso in rincaro non arriva all’1%.
Infine, il caro-Natale arriverà anche su cene e pranzi tradizionali in famiglia, considerati anche i cattivi raccolti di frumento in Canada e Stati Uniti. La peggio va a tutti gli olii diversi dall’olio di oliva (+19%) spesso utilizzati per friggere, dopo l’impennata dei prezzi di mais, girasoli e soia. Ma se i frutti di mare sono saliti quasi del 9%, il caro-pasta arriva al 6%, sempre per via della scarsità di cereali. Pesce fresco e carne vedono un più 4%, più o meno in linea con farina, burro e verdure surgelate, secondo Unc. Non solo. Stando a un’analisi di Assoutenti, l’aumento da mettere in conto su panettoni, pandori e dolci lievitati è del 10% rispetto al 2019, anno pre-pandemia. E c’è da fare due conti anche su spumanti, vini e bevande (+3,5%) e sugli addobbi natalizi.
Il rischio non è da poco. «Questa stangata comporterà una riduzione dei consumi, con effetti devastanti per la ripresa in corso e sugli acquisti di Natale» per Massimiliano Dona, presidente dell’Unc. Insomma, il rischio di un Natale in bianco è «più che concreto». Di qui l’appello al governo Draghi per ridurre di almeno di 20 centesimi le accise sui carburanti e raddoppiare i 2 miliardi stanziati in manovra per contenere gli aumenti di luce e gas.