Unicredit, ora più che il risiko preme la governance: cominciate le manovre per il rinnovo del vertice

La scadenza del cda nella primavera 2024 riduce la finestra temporale per eventuali blitz domestici nell’ottica dell’ulteriore rafforzamento

Mercoledì 3 Maggio 2023 di Rosario Dimito
Unicredit, ora più che il risiko preme la governance: cominciate le manovre per il rinnovo del vertice

Nel gioco del domino per il consolidamento bancario, riacceso dalle simulazioni fatte circolare da alcuni analisti sui concambi fra Unicredit e Banco Bpm (1 a 5 a favore della prima) ritenuti potenzialmente ideali per riaprire il dossier di una fusione, emerge un elemento che potrebbe influenzare le grandi manovre.

Al 29° piano di Piazza Gae Aulenti, dove c’è la sala consiglio intitolata a Fabrizio Saccomanni, secondo quanto risulta a MoltoEconomia si sta aprendo il cantiere del rinnovo della governance sul quale dovrà decidere l’assemblea di aprile 2024.

Ciò significa che l’attuale cda presieduto da Piercarlo Padoan e guidato da Andrea Orcel scade con il bilancio 2023, sicché una eventuale operazione straordinaria andrebbe decisa entro settembre per avere il tempo di realizzazione entro il mandato consiliare. Sarebbe infatti inopportuno che il nuovo board, che potrebbe contenere novità nelle posizioni di vertice, erediti una business combination deliberata dai predecessori.

IL RITRATTO

 Dunque, il tempo stringe per un eventuale blitz di Orcel - il banchiere romano che in questi giorni il Wall Street Journal ha definito “star banker” in un ritratto che esalta il gran balzo in Borsa del titolo sotto la sua gestione. In verità Orcel, secondo indiscrezioni, starebbe esaminando qualche opzione nell’area definita CE&EE (Centro Europa), dove il gruppo ha una quota di mercato dell’11,6%. In particolare il focus potrebbe essere in Germania, dove la sua quota è attorno al 6% e il cda vorrebbe consolidarla per avvicinarla alla soglia italiana del 10%. Va ricordato che in Germania Unicredit è la terza istituzione alle spalle di Deutsche Bank e Commerzbank ed è presente dal 2005 con l’acquisizione di Hvb Bank, realizzata da Alessandro Profumo che ebbe come advisor proprio Orcel, allora a capo di Merrill Lynch. La zona di Berlino è quella dove l’attuale cda vorrebbe aumentare la presa, anche se di opportunità convenienti non ce ne sono molte. Ma le evoluzioni strategiche dell’istituto sono giocoforza connesse con il cantiere governance poiché per opportunità e stile solo un board nella pienezza dei poteri, anche in termini di prospettiva, può deliberare salti dimensionali. Padoan e Orcel intendono far partire a luglio la procedura vera e propria con la scelta di una società specializzata (l’ultima volta è stata Egon Zehnder) che affianchi il cda nei vari passaggi, partendo dalla valutazione quali-quantitativa dell’attuale cda. In Unicredit, come Mediobanca, Banco Bpm e qualche altra società, lo statuto prevede la lista del cda. In questa fase preliminare dovrebbe essere il vicepresidente vicario Lamberto Andreotti, figlio dell’ex leader della Dc, che è anche presidente del Comitato Corporate Governance & Nomination, ad avviare le consultazioni con gli stakeholder. La scelta su Andreotti è legata anche alle sue aspirazioni di rientro negli Usa dove vorrebbe tornare stabilmente, dopo due mandati consecutivi, essendo tra l’altro presidente esecutivo del board di Bristol Myers Squibb. Da segnalare che l’azionariato di Unicredit è in evoluzione per l’ingresso di alcuni investitori di lungo periodo come l’americana Fidelity Investments, quarto gestore mondiale di fondi comuni e fondi pensione con circa 3mila miliardi di dollari gestiti. Fidelity e alcuni altri soggetti dello stesso calibro stanno prendendo posizione con una strategia di lungo periodo con un occhio alla redditività prospettica e quindi nell’aspettativa che nuovi merger possano creare più valore. In qualche colloquio riservato avuto nei giorni precedenti il rifiorire delle indiscrezioni di un’Opas su Banco Bpm, Orcel era negli Usa per incontri con investitori ai quali avrebbe spiegato la sua strategia. Il dossier Banco Bpm fu aperto a gennaio 2022 su precisa indicazione del cda ansioso di un veloce riscatto dopo il fallimento del negoziato su Mps nell’ottobre 2021. All’epoca il concambio era di 1 a 5, il banchiere lo considerava conveniente per la creazione di valore che avrebbe prodotto e per gratificare l’azionariato di Piazza Meda. Ma un’anticipazione giornalistica della possibile Opas provocò una brusca impennata del 10% del titolo Bpm e Unicredit dovette ammettere di «valutare tutte le opzioni disponibili» precisando, però, di «non avere in vista un cda» finalizzato all’operazione. Il giorno dopo da Parma, dove si svolgeva il congresso Assiom-Forex, l’ad di Bpm, Giuseppe Castagna, smontò l’offensiva di Orcel: «Avanti da soli, ne abbiamo la forza e le capacità». Dopo 14 mesi, la posizione di Castagna è rimasta immutata. «Per i soci è meglio se restiamo soli – ha detto in una recente intervista – in tre anni raddoppieremo gli utili». Annunci aggressivi di difesa dello status quo e insieme rilancio dell’obiettivo di perseguire la costruzione del terzo polo, gradito al premier Giorgia Meloni. «Vogliamo gestire in modo ordinato l’uscita del Mef da Mps per creare in Italia le condizioni di avere più poli bancari», ha dichiarato di recente la premier. E sebbene Castagna escluda interessi verso Siena, in cuor suo sarebbe propenso ad aprire un dialogo con il Mef (cui fa capo il 64% di Mps) per valutare un’acquisizione, a condizione che il venditore porti una congrua dote, come avrebbe fatto nell’ipotesi Unicredit, in un’operazione nella quale verrebbero coinvolti Intesa Sanpaolo, Bper e Mcc: la prima rilevando filiali in Toscana e Lazio, la seconda in Lombardia e Triveneto, la terza in Puglia e Sicilia.

IL RINNOVO

 Come in un gioco dell’oca, si torna quindi alla casella di partenza, rappresentata dal rinnovo della governance che impegnerà nei prossimi undici mesi gli organi della banca, anche in considerazione dell’arrivo di nuovi soci e della presenza di azionisti di vecchia data con il volto nuovo. È il caso della Fondazione Crt, azionista con l’1,8% di Unicredit, che ha eletto di recente Fabrizio Palenzona alla presidenza. Questi è una figura nota nel mondo economico e finanziario, avendo partecipato alla nascita di Unicredit nel 1998 e perché dispone di una rete di relazioni che ne fanno uno snodo cruciale di tante partite. Palenzona da un lato e gli investitori internazionali dall’altro avranno un peso nella scelta del nuovo board. Va sottolineato che i soci, specie quelli internazionali, prediligono una governance secondo le best practice di banche sistemiche delle dimensioni e valori di Unicredit propendendo per figure apicali espressione del mercato e non della politica, con esperienze globali e adeguata rappresentanza delle quote di genere nelle posizioni di vertice. Potrebbe quindi profilarsi una presidenza al femminile, da attribuire a una manager internazionale con esperienza multiforme nei servizi finanziari e nelle nuove frontiere tech. 

Ultimo aggiornamento: 4 Maggio, 07:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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