Metamorfosi del social network, con Musk cambiano pelle

Mercoledì 20 Aprile 2022 di Raffaele D'Ettorre
Metamorfosi del social network, con Musk cambiano pelle

«Sto impostando il mio twttr».

Inizia così l’avventura di Jack Dorsey il 21 marzo 2006 a South Park, San Francisco e nasce così Twitter, con un messaggio scherzoso che ammicca al mondo degli sms e cementa subito la formula vincente della nuova piattaforma: grafica essenziale, scambi brevi, la nuova parola d’ordine è immediatezza.

Una partenza in punta di piedi leggera come una chiacchierata tra amici per un social che invece, di lì in poi, si sarebbe sempre preso dannatamente sul serio. L’abbiamo visto nel 2021 con la cacciata di Trump dalla piattaforma, in una presa di posizione inedita che ha spostato i riflettori sul complesso rapporto tra social e libertà d’espressione.

LO SCENARIO

 Un tema caro all’ex presidente Usa (che intanto è approdato sul suo social network personale, inaugurato a febbraio con il nome “Truth”) e su cui si è espresso più volte anche Elon Musk, il miliardario ceo di Tesla autodefinitosi un «assolutista della libertà di parola», che oggi spinge per un ritorno alla leggerezza dell’era Dorsey in un momento storico in cui però i social, colpiti da scandali e controversie, puntano verso serietà e regolamentazione. Le piattaforme strutturate intorno al messaggio, come Twitter e LinkedIn, avrebbero inoltre grosse difficoltà a integrare toni e contenuti più pop tipici di social come TikTok e Instagram, dove è prevalente il contenuto visivo. Senza scordare che, nel panorama del web 2.0, Twitter è l’anti-Facebook, che al diario di una vita privilegia uno stile asciutto e professionale più vicino alle aziende, tanto che ormai il 66% delle imprese a livello globale si appoggia al social creato da Dorsey per fare marketing. Cambiare approccio porterebbe forse un aumento degli utenti ma a farne le spese sarebbe la monetizzazione, cioè quanti di questi utenti possono trasformarsi in ricavi per l’azienda. Su queste prospettive Musk ancora non si è pronunciato, preso com’è dalla sua «ossessione per la libertà di parola», sottolinea il Time.

L’OPERAZIONE

 Già a marzo il miliardario aveva chiesto ai suoi 81 milioni di follower se secondo loro Twitter aderisse ai principi della libertà d’espressione. E cominciava a diffondersi l’idea che anche lui, come Trump, volesse creare un social tutto suo, tanto che lui stesso aveva ammesso di starci «seriamente pensando». Ai pensieri sono seguiti i fatti quando il 4 aprile l’imprenditore ha acquistato il 9,2% di azioni Twitter, diventandone socio di maggioranza. Il 9 aprile si parla del suo ingresso nel cda ma non passano 24 ore che Musk ci ripensa: entrare nel board significherebbe essere vincolati da un tetto di acquisto del 15%, e allora lui se ne tira fuori. Il 14 aprile infine la bomba: 43 miliardi di dollari per diventare l’unico proprietario di Twitter. «È solo Elon che si comporta da Elon», chiosa il Los Angeles Times. Musk d’altronde è così: caotico e imprevedibile ma, tolte le interminabili freddure, sempre spietatamente lucido. In fondo Twitter è una delle piattaforme più influenti del pianeta, un gigante da 396 milioni di utenti che nel 2021 ha fatturato 5 miliardi di dollari, con un incremento annuo del 37%. Un affare niente male anche per l’uomo più ricco del mondo, al quale basterà ritoccare Twitter qua e là per avere finalmente il “suo” social. Ma cosa vorrebbe dire oggi per il colosso fondato da Dorsey un ritorno alla privatizzazione? Twitter è quotato in Borsa dal 2013, e proprio da lì sono arrivati i cambiamenti più significativi: dal limite di 140 caratteri si è passati a 280, sono stati introdotti i sondaggi e la possibilità di caricare gif e video. Nel 2021 sono state lanciate le chat room audio di Spaces e la versione premium denominata “Blue”, che aggiunge funzionalità extra al costo di 2,99 dollari al mese. In cantiere adesso c’è anche il tanto agognato pulsante “edit”, che consentirà di modificare i propri tweet anche dopo la pubblicazione. Tornare al modello privatizzato è un’idea che non piace quindi né ai vertici né ai dipendenti di Twitter, timorosi che l’ingresso di Musk possa erodere tutti i progressi fatti finora, anche e soprattutto in tema di regolamentazione. Il board intanto ha già alzato gli scudi: se qualcuno dovesse acquistare più del 15% della società, è prevista una “pillola avvelenata” - sempre che la Sec non si opponga - che darà agli azionisti la possibilità di acquistare ulteriori quote a prezzo ridotto. Una manovra che fa guadagnare tempo all’azienda ma che potrà al massimo rallentare l’uomo più ricco del mondo, che intanto gioca con i vertici del social come si gioca con la preda. «Proviamo a togliere una w dal nome della società», scherza il patron di Tesla mentre twitta al mondo di essere appena entrato in “modalità goblin”, giurando che farà pelo e contropelo all’azienda. «Sembra proprio che Elon si stia divertendo», minimizzano gli investitori interpellati dal New York Times ma rimane la preoccupazione per la stretta capricciosa di Musk, dove a decidere le sorti dell’azienda può essere, ironicamente, proprio un tweet. Dopo l’abbandono di Dorsey dalla carica di ceo lo scorso novembre, a fare da contrappeso al ciclone Musk oggi rimane solo il suo successore, Parag Agrawal, che oltre a gestire l’incessante offensiva del miliardario dovrà anche realizzare la strategia aggressiva voluta dagli investitori: 315 milioni di utenti giornalieri monetizzabili e raddoppio delle entrate entro il 2023. La roadmap è chiara e l’azienda si è già messa al lavoro, ma sul futuro del social adesso pende l’ombra di Musk. Sempre che questi riesca a mettere insieme il “gruzzolo” necessario alla scalata. 

Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 09:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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