La crisi dei microchip, pressing del governo per produrli in Italia

Mercoledì 3 Novembre 2021 di Michele Di Branco
La crisi dei microchip, pressing del governo per produrli in Italia

Come rispondere alla crisi dei microchip, indispensabili ormai per tantissime produzioni?

Come tutelarsi dalla garrota cinese che, con la minacciata annessione di Taiwan, potrebbe in pochi anni assicurarsi il controllo di gran parte della produzione mondiale del prezioso manufatto? Da settimane il premier Mario Draghi va sottolineando il forte ritardo dell’Europa su questo fronte, al punto che non ha esitato a prendere contatti diretti con il colosso americano Intel per convincerlo a sbarcare in Italia con un proprio stabilimento a partecipazione mista. Il dossier è stato affidato al ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti: «La trattativa c’è», ha confermato l’esponente dell’esecutivo dagli Stati Uniti dove ha avviato un’intensa interlocuzione con i vertici del colosso.

UN’INTESA DIFFICILE

Secondo alcune indiscrezioni, l’investimento di parte italiana ammonterebbe a circa 4 miliardi di euro, che potrebbero però raddoppiare sulla base delle dimensioni che assumerà l’investimento di Intel. Per la locazione dell’impianto italiano sarebbero in corsa Mirafiori (sponsorizzata con forza dal governatore del Piemonte, Alberto Cirio) o Catania, dove già opera StMicroelectronics. La fabbrica italiana, secondo alcune stime preliminari, potrebbe dare lavoro diretto a oltre mille persone. Anche per questo il governo è pronto a fare particolari concessioni a Intel, proponendo agevolazioni sul costo dell’energia e su quello del lavoro. L’obiettivo ideale sarebbe chiudere l’intesa entro fine anno. Ma c’è un ma. Se è vero che le interlocuzioni tecniche sono serie - e queste riguardano anche Moderna, il gruppo che produce il vaccino anti-Covid - si pone un problema di credibilità del Paese.

Nonostante la svolta anche in termini d’immagine data dall’attivismo del governo Draghi, soprattutto negli Stati Uniti resta forte il dubbio sulla continuità delle norme. Non è, insomma, una questione di soldi - quelli non mancano per investimenti di quel tipo - ma solo di garanzie sulla tenuta delle leggi italiane. Troppe volte, infatti, soprattutto relativamente alla sfera economico-industriale, il nuovo governo ha cancellato quanto aveva fatto il precedente tradendo progetti e investimenti che proprio su quelle normative avevano scommesso.

Perciò nessuno si dovrà sorprendere se l’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, che due mesi fa ha dichiarato la disponibilità a investire in Europa fino a 95 miliardi nei prossimi dieci anni, a fine anno indicherà siti non italiani (probabilmente la selezione finirà per favorire Germania e Polonia) per la realizzazione delle due nuove fabbriche. La strategia di Intel non è ovviamente disinteressata, visto che lo sbarco nel Vecchio Continente è coerente con il processo di “accorciamento” delle filiere che si sta verificando in varie parti del mondo: un cambio di modello che ha bisogno di stabilità, radici solide e capaci di resistere agli umori della politica locale.

OBIETTIVO VITALE

Aumentare la disponibilità dei microchip sul mercato domestico, resta però vitale per l’Italia. A fine ottobre, nel suo intervento al Senato in vista del Consiglio europeo, Draghi ha dedicato ampio spazio a questa «sfida decisiva per l’Europa», ricordando che il Vecchio Continente è passato dal 44% della capacità globale di semiconduttori nel 1990 ad appena il 9% nel 2021. In altre parole, dipendiamo sempre di più dalle forniture extra-europee, e quando queste ritardano o si bloccano, come è accaduto in questi mesi di ripartenza economica, le aziende possono vedersi costrette a fermare o a rallentare di molto la loro produzione. Tra l’altro, che i microchip siano una questione di sicurezza nazionale Draghi l’ha chiarito sin dalle prime settimane a Palazzo Chigi calando ad aprile il suo primo “golden power” per fermare l’acquisizione della lombarda Lpe da parte della cinese Shenzhen Investment Holdings. Ma difendersi non è sufficiente. Ora serve contrattaccare. E se proprio l’Italia non avrà il suo stabilimento Intel, che almeno gli impianti siano insediati in Europa.

LA DOMANDA SI IMPENNA

La presidente della Commissione, Ursula von der Lyen, ha ufficialmente richiamato la volontà di produrre il 20% dei semiconduttori mondiali come previsto nel piano 2030 Digital Compass presentato a marzo. Ma ha anche precisato che bisogna intervenire subito e con grande determinazione perché la Cina e gli Stati Uniti lo stanno già facendo, investendo decine di miliardi ciascuno in questo settore. L’Unione europea deve mettere insieme le capacità di ricerca, progettazione, sperimentazione e produzione di tutti i Paesi europei per creare, ad esempio, un ecosistema europeo di microchip all’avanguardia. Si vedrà. Intanto la domanda di semiconduttori continua a crescere: negli ultimi 5 anni è aumentata dal 5% al 20% e le previsioni sono per un trend in ascesa per lungo tempo.

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Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 14:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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