La prima buona notizia dietro il crollo delle cryptovalute è che, in piena crisi energetica, potrebbero liberarsi un po’ di risorse da impiegare in altre attività produttive, quelle che in genere spingono le economie.
Uno dei limiti della tecnologia blockchain, che pure ha applicazioni interessanti in altri settori, è infatti l’elevato consumo di energia che deve gestire una massa enorme di operazioni.
UNA BRUTTA FINE
La terza buona notizia, mentre è ancora da capire dove arriverà l’effetto contagio di una valanga che per ora ha portato alla bancarotta due piattaforme simbolo come FTX e BlockFi, è che il cedimento della bolla ha messo in crisi alcune argomentazioni degli investitori in questi asset speculativi. Il primo assunto, spiega Ramenghi, era che le criptovalute avrebbero offerto maggiore diversificazione rispetto ad altri investimenti come, ad esempio, le azioni. Così non è stato. Una seconda argomentazione riguardava la presunta natura di «oro digitale» disponibile in quantitativi limitati. In effetti, se fossero valute tradizionali si parlerebbe di iperinflazione; ma non hanno il ruolo di una vera valuta se si prende come riferimento l’utilizzo diffuso per l’acquisto di beni e servizi o la stabilità intesa come riserva di valore. Fatto sta che la correzione dei mercati finanziari di quest’anno non ha certo incoraggiato l’accesso al mondo delle monete virtuali. Anzi, per la sua fragilità ha sofferto molto più delle altre asset class. Dai massimi dell’ultimo anno Bitcoin e Ethereum hanno perso tra il 70% e l’80% del valore; le altre tra il 60% e l’80%. Correzioni nette sono toccate alle piattaforme digitali quotate che si erano specializzate negli scambi di questi strumenti. Già nel 2018 “l’ oracolo di Omaha” Warren Buffett, ne aveva pronosticato «la brutta fine». Resta ora da capire fin dove sono arrivate le ramificazioni di questa bolla.