Un anno in più per sfruttare i benefici fiscali “prima casa”

Mercoledì 3 Marzo 2021 di Luca Cifoni
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Di prima e seconda casa si è parlato molto in questi mesi di zone colorate e limitazioni agli spostamenti. Ma se le norme del codice civile non permettono di definire del tutto questi concetti, la normativa fiscale è invece piuttosto chiara in proposito. E nel decreto Milleproroghe da poco approvato dal Parlamento il governo ha provveduto a dare un altro anno di tempo ai cittadini che intendono fruire dei vantaggi tributari riconosciuti dalla legge, ma hanno difficoltà a farlo proprio a causa delle criticità connesse alla pandemia.

FLESSIBILITÀ

 Le imposte in questione sono quella di registro e l’Iva, che normalmente per i trasferimenti di immobili ad uso abitativo sono dovute in misura proporzionale con aliquote rispettivamente del 9 e del 10 per cento. Nel primo caso il valore di riferimento è quello catastale, nel secondo il prezzo della cessione. Il prelievo però è più contenuto quando la transazione riguarda la “prima casa”. Ovvero, in generale, quando l’acquirente non possiede altre abitazioni. Ma questa condizione viene applicata in modo flessibile: se si è già acquistata una casa con l’agevolazione e poi se ne compra un’altra, c’è un anno di tempo per vendere la prima senza perdere il diritto.

Inoltre il fisco riconosce un credito d’imposta nel caso in cui dopo aver venduto la prima casa se ne acquista un’altra entro un anno: quanto già pagato originariamente a titolo di imposta di registro o Iva può essere utilizzato per abbattere il versamento successivo delle imposte sull’acquisto, oppure portato a riduzione dell’Irpef o in compensazione di altre imposte (in pratica il beneficio viene “conservato” nel tempo pur passando da un’abitazione all’altra). Per l’agevolazione prima casa bisogna poi soddisfare altre due condizioni: l’immobile non deve essere di lusso (ovvero appartenente alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9) e deve trovarsi nello stesso Comune in cui il contribuente ha la residenza: qualora quest’ultima circostanza non ricorra, la residenza può comunque essere trasferita entro 18 mesi dall’acquisto. Se tutti questi vincoli sono rispettati l’imposta di registro va pagata in misura del 2 per cento e l’Iva (quando sia dovuta, in alternativa, nel caso di acquisto dal costruttore) in misura del 4 per cento. Andranno poi versate al notaio, insieme all’imposta di registro, anche quelle ipotecarie e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna. Se la transazione è soggetta ad Iva ci sono invece da pagare registro, ipotecaria e catastale per un importo di 200 euro ciascuna.

IL NODO

Questo il quadro che il legislatore ha costruito nel corso degli anni a tutela della casa di proprietà. Un quadro nel quale ha fatto però irruzione l’emergenza Covid, rendendo all’improvviso troppo corti termini temporali che in una situazione normale apparivano invece ragionevoli. Quando (come è avvenuto soprattutto nel primo lockdown) diventa difficile anche solo visitare un appartamento, quando rallentano i lavori di ristrutturazione, può essere complicato mantenere gli impegni: si farebbe quindi concreto il rischio di perdere l’agevolazione e di dover pagare in più una sanzione. Così lo scorso aprile uno dei vari decreti d’urgenza ha stabilito la sospensione fino a dicembre 2020 sia del termine di 18 mesi dall’acquisto della prima casa, entro il quale il contribuente deve trasferire la residenza, sia di quello di un anno entro il quale bisogna rivendere la vecchia abitazione dopo averne comprata un’altra. Congelato anche l’anno che può passare al massimo tra vendita e riacquisto ai fini della fruizione del credito d’imposta. Con il recente Milleproroghe, concepito nel pieno della seconda ondata della pandemia, la sospensione è stata ulteriormente spostata in avanti al 31 dicembre 2021. I termini sospesi quindi inizieranno o riprenderanno a decorrere a partire dal primo gennaio del prossimo anno. 

LA DIFFERENZA CON L'ABITAZIONE PRINCIPALE

Nel linguaggio fiscale, ma non solo, vengono spesso usati come sinonimi. Ma “prima casa” e “abitazione principale” sono in realtà due concetti abbastanza diversi e relativi a differenti norme tributarie. Si parla di “prima casa” (come spiegato nell’articolo a fianco) in relazione alle imposte sul trasferimento di immobili, registro e Iva, che sono appunto dovute in forma ridotta quando il contribuente non possiede un altro immobile ad uso abitativo oppure - se lo possiede - lo rivende entro il termine (ora congelato) di un anno. Tra le altre condizioni è richiesto di spostare la propria residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione acquistata con le agevolazioni. Attenzione però: anche quando questo avviene, non è detto che la casa in questione sia abitazione principale, perché si può avere lì la residenza ma non la dimora abituale, che è invece il requisito più stringente richiesto ai fini dell’Imu, per usufruire dell’esenzione (e in precedenza comunque di un trattamento più favorevole). La definizione è stata recentemente fissata nella legge di Bilancio per il 2020, che ha riordinato l’imposizione immobiliare locale: l’abitazione principale è quella nella quale «il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Quindi accanto al requisito anagrafico c’è quello di vivere in effetti, almeno in prevalenza, nell’immobile in questione. Un requisito che potrà essere eventualmente verificato dalla polizia locale se il contribuente non paga l’imposta municipale sfruttando l’esenzione prevista per l’abitazione principale (con l’eccezione di dimore di lusso, ville e castelli). Il concetto di abitazione principale entra in ballo come condizione anche per un’altra agevolazione: la possibilità di detrarre dalla dichiarazione Irpef il 19% degli interessi passivi del mutuo ipotecario acceso per comprare (o costruire) la casa: anche in questo caso è richiesta la dimora abituale.

Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 06:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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