Allarme siccità, la miniera “acque reflue” inaridita dai pregiudizi. In arrivo la spinta della Ue

Il mancato utilizzo ci costa sanzioni per 60 milioni l’anno

Mercoledì 1 Marzo 2023 di Carlo Ottaviano
Allarme siccità, la miniera “acque reflue” inaridita dai pregiudizi. In arrivo la spinta della Ue

Il mondo alla rovescia, come spesso capita. Dal 2018 ogni sei mesi l’Italia paga all’Unione Europea una sanzione di circa 30 milioni di euro (168mila euro al giorno) per non aver ancora provveduto a dotare tutto il Paese degli impianti di trattamento degli scarichi idrici.

Cioè acque che, soprattutto in momenti di grave siccità come quelli che stiamo vivendo, sarebbero utilissime per lavare le strade, per usi industriali come raffreddare gli impianti o per irrigare i campi. «Un enorme potenziale – spiega Maurizio Giugni, commissario straordinario per la depurazione – visto che a oggi sono solo 150 gli impianti che prevedono il riuso irriguo dei reflui, su un totale di circa 18mila depuratori». Re Soil Foundation (partecipata dall’Università di Bologna e dal Politecnico di Torino) calcola che su 9 miliardi di metri cubi di acque reflue trattate in Italia, ne destiniamo all’agricoltura solo il 5%. Nel resto del mondo quando e dove c’è grande carenza idrica – l’esempio più significativo è Israele – l’acqua di fogna (perché di questo stiamo parlando) depurata vale quanto l’oro. «È una pratica che studiavamo all’università già 30 anni fa», racconta Stefano Ciafani, ingegnere ambientalista, presidente di Legambiente. «Per l’agricoltura è una soluzione vincente sotto tutti i punti di vista – aggiunge – Anzitutto c’è sempre perché i consumi nelle abitazioni sono costanti, inoltre per i campi ha addirittura un vantaggio perché contiene azoto e fosforo, cioè i nutrienti di maggiore importanza per la crescita biologica».

I NODI DA SCIOGLIERE

Gli imprenditori agricoli conoscono bene il valore dei fertilizzanti, specialmente nell’ultimo anno in cui i costi sono lievitati del 300% a seguito della guerra in Ucraina, essendo Kiev tra i maggiori produttori mondiali. Secondo Legambiente, adeguare le normative (ferme al 2004) per implementare l’uso delle acque reflue è una delle mosse essenziali per affrontare l’emergenza siccità. «Spesso però gli agricoltori non si fidano, temono di minare i raccolti», ammette Ciafani. Eppure non mancano gli esempi virtuosi. Come quelli in Emilia Romagna. Stefano Francia, presidente della Cia Agricoltori Italiani nella regione e del Consorzio di bonifica della Romagna, punta molto al recupero delle acque reflue. «Basti pensare – racconta – che nel nostro territorio la stagione più importante per irrigare è la stessa in cui c’è il picco di popolazione, grazie al turismo. È un delitto sprecare una tale risorsa». Il consorzio romagnolo già nel 2022, durante la più pesante sofferenza idrica degli ultimi anni, ha avviato ulteriori ricerche, studi, applicazioni. «Non tutte le coltivazioni – spiega Francia – tollerano le acque reflue per la presenza di forte concentrazione salina. Ma abbiamo verificato, per esempio, che fagiolini, fruttiferi e altre varietà non subiscono alcuna alterazione». «In questa fase – aggiunge il presidente di Cia Emilia Romagna – è essenziale armonizzare le tabelle di immissione delle acque reflue con quelle di uso irriguo, spingere alla cooperazione pubblico-privato nella definizione delle norme, usare sempre il massimo di precauzione. A vantaggio allo stesso tempo di ambiente, territori ed economia». Adesso un’ulteriore spinta al riutilizzo delle acque reflue arriva dall’Unione Europea perché a giugno entrerà in vigore il nuovo regolamento sul riutilizzo dell’acqua. «Le risorse di acqua dolce – afferma Virginijus Sinkevičius, commissario per l’Ambiente – sono scarse e sottoposte a una crescente pressione.

Dobbiamo smettere di sprecare acqua e dobbiamo utilizzare questa risorsa in modo più efficiente per adattarci ai cambiamenti climatici».

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Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 07:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA