L’ottimismo per la ripresa economica non fa bene all’oro. Questo è evidente. Nel primo trimestre dell’anno il metallo giallo ha perso tutto il terreno guadagnato in piena pandemia segnando la maggiore flessione trimestrale dal 2016 (-10% fino a 1.707 dollari all’oncia). Eppure Steve Land, portfolio manager di Franklin Equity Group, è convinto che la domanda possa rafforzarsi di nuovo portando con sé anche altre opportunità tra le azioni. Soprattutto tra le società aurifere a capitalizzazione medio-bassa che possono essere al centro di un processo di consolidamento. A smorzare a inizio anno l’attrattività del metallo prezioso è stato l’aumento dei rendimenti obbligazionari, a partire dai Treasury Usa. Le posizioni in exchange-traded fund (ETF) sull’oro fisico – un fattore di sostegno fondamentale per l’aumento del lingotto verso i massimi storici nel 2020 – hanno dunque continuato a perdere terreno. E i deflussi sono proseguiti ad aprile. «La domanda di ETF dello scorso anno è diventata una nuova fonte di offerta nel 2021», spiega Land. Di qui la liquidazione di lingotti d’oro dai caveau degli ETF. Poi un po’ di ripresa delle quotazioni è arrivata con l’inizio della normalizzazione dei mercati e la ripresa delle fonti tradizionali di domanda, come la produzione di gioielli. Ma attenzione: finora, sostiene Land, i crescenti timori per l’inflazione non si sono tradotti in un rincaro del metallo. Perché nonostante lo slancio di Usa e Cina, l’economia globale è ancora in affanno. Ma le cose potrebbero cambiare presto. «L’inflazione giocherà un ruolo di primo piano in molti paesi. I governi cercheranno di ridurre il valore reale del debito alimentando così la domanda di oro: un’alternativa valida alla detenzione di carta moneta in tempi di inflazione», fa notare l’esperto. Franklin Equity non crede invece nella sostituzione dell’oro con il Bitcoin o altre criptovalute come copertura dall’inflazione.
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