La Merkel esce di scena, l'Europa si prepara a mandare in soffitta la centralità tedesca

Mercoledì 6 Ottobre 2021 di Paolo Balduzzi
L immagine di Angela Merkel accanto ai ritratti degli altri cancellieri tedeschi, da Adenauer a Schroeder, nel KanzlerEck pub di Berlino (EPA/Jens Buettner)

Ventitré anni fa, quando si trattava di raccogliere l’eredità di Helmut Kohl, dal 1982 al 1998 leader della Germania, l’Europa era completamente diversa. La Germania era completamente diversa. Il Paese si era riunificato da meno di dieci anni; in quegli stessi anni, l’Europa era stata preda di movimenti nazionalistici e secessionisti, pacifici o tristemente violenti; ma era anche agli albori di una nuova stagione comunitaria, forse l’ultimo grande atto politico del cancelliere, vale a dire la creazione dell’Unione monetaria. Può essere difficile crederlo: ma le sfide da raccogliere dopo i 16 anni di Angela Merkel non sono certo da meno.

L’Europa è ancora alla ricerca di una sua identità: la crisi pandemica ha probabilmente solo intorpidito, più per necessità che per scelta, le numerose divisioni che la attraversano. Quella tra Paesi più inclini al rigore, di cui la Germania è sempre stata capofila, e Paesi che invece lo sono meno, come i mediterranei. Ma anche tra governi populisti, contrari all’immigrazione, e Paesi accoglienti. Senza dimenticare il conflitto con le anime sovraniste, che ha segnato recentemente l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.

LA DECISIONE

Questa ricerca di identità europea non è indipendente dalla ricerca di identità della Germania. Già prima che la pandemia colpisse il mondo, la locomotiva tedesca aveva cominciato a rallentare. Nel 2019, per esempio, il tasso di crescita dell’economia si era fermato allo 0,6%, una percentuale molto più vicina alla crescita moribonda italiana (0,3%) che a quella vivace di altre economie europee (la Francia cresceva all’1,5%, la Spagna addirittura al 2%). Conseguenza anche di una scarsa propensione agli investimenti, in particolare nelle infrastrutture e nell’istruzione, che imprese e opinione pubblica facevano sempre più fatica a comprendere e, soprattutto, a sopportare, in presenza di avanzi di bilancio costanti. Ossessione o vocazione? Quel che è certo è che la Germania si troverà presto a dover decidere se essere “tedesca o europea”, per usare l’efficace espressione proposta da Giangiacomo Nardozzi nel suo “Una nuova Germania per l’Europa? L’economia e l’animo tedesco”. Le elezioni per la ventesima legislatura avrebbero dovuto fornire qualche risposta. Ma, anche a urne ormai chiuse, è ancora troppo presto per capire quale maggioranza si formerà. E anche per individuare i futuri protagonisti della prossima stagione politica, dove l’unione Cdu/Csu, e a maggior ragione il suo attuale leader Armin Laschet, saranno ridimensionati. Il governo più probabile dovrebbe raccogliere Spd, Verdi e Liberali, ma nessuna altra opzione può essere esclusa a priori. Né una poco probabile riedizione della Große koalition, naturalmente a rapporti di forza invertiti, né una maggioranza tra conservatori, verdi e liberali, probabilmente l’opzione più accreditata fino a poche settimane prima del voto. Comunque vada, il nuovo cancelliere dovrà fare i conti con una popolarità tra gli elettori tutta da guadagnare, se è vero che anche la Spd, il partito più votato, non va oltre il 26% dei consensi. E un leader debole rischia di vedersi fagocitato sia dalle tensioni della coalizione sia, e ancor più pesantemente, dalla necessità di rincorrere il consenso elettorale di breve periodo, un fenomeno che, al di sotto delle Alpi, conosciamo fin troppo bene.

I TEMI

E sono in effetti parecchi i temi che dividono i partiti e che sono suscettibili di derive populiste: la politica migratoria, per esempio, su cui la Merkel e la Cdu/Csu hanno perso parecchio consenso; il rapporto verso il resto del mondo, sempre più difficile da attuare con partner commerciali più isolati, a partire proprio da Cina e Stati Uniti; e, ancora, forse il più sentito dei dilemmi: accingersi a riscrivere un patto di stabilità e crescita europeo all’insegna di un ritrovato rigore o prendere atto del fallimento delle politiche restrittive? Per non parlare della transizione energetica, un tema al centro del Next Generation Eu e che costringerà al confronto - o allo scontro - scettici e ambientalisti. Tutti temi su cui ognuna delle tre possibili coalizioni di governo appare piuttosto divisa. Divisione che diventa ancora più grave per l’assenza di una leadership forte nel paese, che sia in grado, come aveva fatto invece Angela Merkel, di gestire alleati distanti grazie a continue trattative e a opportune concessioni, oggi all’uno e domani all’altro. Sarà dunque in grado il nuovo cancelliere tedesco di essere leader in Europa e dell’Europa? La risposta arriverà già la prossima primavera, quando (forse) il governo tedesco sarà formato, quando si scoprirà chi guiderà la Francia per i prossimi 7 anni e, soprattutto, che ruolo ricoprirà Mario Draghi nella politica italiana. Tuttavia, anche il solo fatto di porsi questo interrogativo è sufficiente a sancire la fine della centralità tedesca.

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Ultimo aggiornamento: 7 Ottobre, 06:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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