Concessione via, Autostrade pronta a chiedere un maxi-risarcimento allo Stato

Sabato 4 Gennaio 2020
Concessione via, Autostrade pronta a chiedere un maxi-risarcimento allo Stato
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La decisione è presa e la linea è stata confermata ieri nel corso nel consiglio di amministrazione di Autostrade per l'Italia che ha fatto il punto sullo scontro con il governo sulla concessione: se entro fine mese l'esecutivo non farà un passo indietro con la modifica della norma contenuta nell'art. 33 del Milleproroghe che cancella il maxi-indennizzo in caso di revoca o decadenza, il gruppo Atlantia-Aspi andrà in fondo alla risoluzione automatica del contratto di Convenzione firmato nel 2007. Una mossa estrema finalizzata a garantirsi l'indennizzo da 23 miliardi che il governo ha provato a disinnescare con il blitz di fine anno. L'arma in mano ad Autostrade è ben radicata nella convenzione firmata nel 2007 (anche sotto la pressione della procedura di infrazione avviata della Commissione Ue contro l'Italia) conforme al principio di modifica non unilaterale degli accordi stipulati con il governo. Di fatto è una pistola puntata contro quella messa sul tavolo dall'esecutivo con il decreto contenuto nel Milleproroghe.

Autostrade, «con la revoca senza indennizzo è certo il fallimento di Atlantia»

TEMPI STRETTI
Il particolare rilevante dell'opzione in mano ad Aspi, che così facendo eviterebbe la prospettiva del fallimento, è tutto nei tempi. Ci sono soltanto tre settimane per avviare una trattativa, ora inesistente, e arrivare a un compromesso. Se il premier Giuseppe Conte vuole evitare di imboccare un lungo contenzioso da 23 miliardi, oltre al risarcimento certo delle opere già fatte, agli investimenti futuri nelle nuove opere che rimarrebbero scoperti fino a una nuova convenzione, sarà costretto a valutare bene il da farsi con i suoi ministri. Senza contare che, nonostante il rotondo indennizzo, la società Autostrade, senza più la principale fonte di proventi, sarà costretta a ridurre in maniera importante il conto dei 7.000 dipendenti impegnati in Italia. Così si spiega anche la preoccupazione espressa dal ministro delle Infrastruture, Paola De Micheli, tanto accorta da non richiamare una minaccia di revoca, nonostante le «evidenze della scarsa manutenzione», ma più concentrata a sottolineare che «il governo dovrà valutare le risultanze delle verifiche fatte, l'impatto finanziario e soprattutto l'impatto occupazionale di qualunque decisione. Si dovrà far carico della soluzione di entrambi i problemi».
L'altro particolare interessante di questo scontro è che di fatto il gruppo Autostrade-Aspi ha già dichiarato con ogni evidenza, non solo al governo ma anche al mercato, qual è la rotta imboccata. È scritto a chiare lettere nella nota del 22 dicembre scorso, diramata subito dopo il Consiglio dei ministri che ha approvato il Milleproroghe. Il cda di Aspi, ribadendo i «rilevanti profili di incostituzionalità e contrarietà a norme europee» del decreto in questione, sulla scia della riforma voluta dall'ex ministro Antonio Di Pietro nel 2006 e poi modificata sotto pressione dell'Ue, ha infatti scritto al ministro De Micheli, al premier Conte e al ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. Nella lettera si osserva che «una norma con contenuti analoghi a quelli indicati nell'art. 33 (del Milleproroghe, ndr) determinerebbe il verificarsi dei presupposti di cui all'art.9 bis comma 4 della Convenzione Unica e quindi la risoluzione di diritto della stessa». Il tutto in nome «del rispetto del principio di affidamento» e a tutela del patrimonio della società e di tutti i suoi stakeholders.
L'APPELLO DI AISCAT
Dunque, altro non vi è da aggiungere. Il confronto nel cda di Aspi, ieri, non ha fatto che confermare la strada obbligata per la società. A meno che non spunti provvidenzialmente una modifica del decreto Milleproroghe, che ne limiti gli effetti alle convenzioni future, lasciando fuori quelle in corso, compresa quella di Aspi: solo un passo del genere potrebbe spingere Aspi, che fin qui non si è mai sottratta al dialogo, a sedere al tavolo della trattativa. È ciò che chiede del resto anche l'Aiscat, l'associazione italiana delle società concessionarie: «Sediamoci a un tavolo e facciamo un negoziato», è l'appello lanciato ieri.
Roberta Amoruso
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Ultimo aggiornamento: 10:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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