Rafaela Pimenta, erede di Raiola con un parco giocatori da un miliardo: «Educo i calciatori al rispetto, nessun limite per le donne»

Intervista alla regina del calciomercato: «Punto a un’allenatrice da Champions, a un contratto da top player per una giocatrice»

Mercoledì 25 Gennaio 2023 di Alvaro Moretti
Raiola e Pimenta (foto courtesy Global Soccer)

Ci vediamo in chat. Lei, Rafaela Pimenta, è tra gli agenti più influenti del calciomercato mondiale: se esiste un re del mercato dei calciatori, lei è la regina.

Ha creato con Mino Raiola un’agenzia, la One, che gestisce una quarantina di calciatori per un valore dei contratti stimato a circa un miliardo: ci sono o ci sono stati loro dietro fenomeni come Haaland, Ibrahimovic, Nedved, Pogba, Donnarumma, Verratti. È l’unica donna a sedere al tavolo dei (pochi) grandi manager in questo settore: molti di questi con l’Adicosp e il The Football Forum (cenacolo dei super agenti internazionali) saranno a Roma il 30 e 31 per la sfida romana alla tradizione del calciomercato milanese. Ha rotto il tetto di cristallo, come si dice, ma anche i lampadari di cristallo dei grandi hotel in cui si celebrano i trasferimenti monstre. Come quello di Haaland, appunto, l’ultimo firmato iniziato con Mino (il suo socio e amico morto il 30 aprile scorso): Erling, il giovane attaccante più forte del mondo (con Mbappè) ha un ingaggio di 30 milioni a stagione per 5 anni. È una avvocata di 50 anni («festeggiati come si deve per una brasiliana: churrasco, samba, il mio compagno e la mia famiglia») che per il calcio che deve crescere immagina una specie di metaverso (anche quello web) del calcio. «Creare contenuti, donne sempre più al centro, immaginare valore dove ora non c’è e quindi sponsor.

E maggiore felicità da condividere: io, i miei collaboratori, i calciatori siamo gente fortunata. Un dovere allargare quanto più possibile questa nostra fortuna, condividerla, essere di ispirazione: nella One c’è un settore dedicato proprio allo sviluppo di queste iniziative».

Rafaela, ha un bel rapporto con Roma.

«Mino Raiola ha centrato il primo grande colpo portando Nedved alla Lazio, nel 1996. E poi, invece, io con lui ho siglato il contratto che portò Pavel alla Juve e al pallone d’oro. Il meeting di Roma del 30 e 31 è una chance: serve una nuova centralità per il calcio italiano, oltre alla storia di Milano. Si farà rodaggio per tornare in estate. È una città così seducente, a dirigenti e agenti piacerà».

Da Nedved ad Haaland: quanto è cambiato in questi 25 anni?

«One è nata insieme a Mino: ho scritto io lo statuto, allora io ero dietro le quinte. Ora tratto io: 25 anni fa era letteralmente inconcepibile che una donna potesse fare questo mestiere. Siamo stati una strana coppia, quasi donchisciottesca: l’avvocata brasiliana che lavorava all’Antitrust nel governo di Cardoso e il campano che vestiva all’olandese».

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Poi il 30 aprile Mino, dopo una lunga malattia, muore.

«Un buco emozionale enorme, per me. Con la perdita del mio partner sapevo che qualcuno avrebbe provato ad avvicinarsi ai nostri giocatori. Ai miei ho detto: la barca va riorganizzata, ma non possiamo tornare in porto, si continua a navigare. Non ci hanno mangiato e non ci mangeranno: in quei giorni continuai la trattativa per Haaland, avviata con Mino, poi conclusa in estate. Fu dura, ma lanciammo un segnale a tutti sulla One».

Gli squali usano l’argomento classico: “Ma ti fai rappresentare da una donna? Quella non capisce di calcio”.

«Esatto. Io non ho mai giocato a calcio, ma sono stata una buona atleta. Insegnavo diritto già quando avevo 20 anni e non ero ancora laureata. E da 25 anni seguo le svolte della vita dei miei assistiti: quello che capita a un giovane calciatore che deve fare il grande salto, io l’ho vissuto almeno 100 volte. E sono una donna con una sensibilità e un approccio necessariamente diverso da quello tradizionale del calcio».

Nel suo documentario Paul Pogba parla di lei come una seconda madre, “Zia Rafaela”.

«Non posso dire com’è fare l’agente da uomo, ma di certe cose i giocatori parlavano con Mino, altre preferivano dirle a me. Ho usato il genere come un vantaggio, anche la mia vita è piena di ostacoli posti dal calcio al mio essere una donna influente in questo ambiente. Diciamo che forse la mia esperienza servirà per capire che si deve pensare al di là del genere, anche nel calcio. E nel calciomercato».

Mi viene in mente Luther King: I have a dream.

«Ecco, il mio è concreto: pensare una donna che allena un club di Champions maschile, tra un po’. Abbiamo avuto una terna arbitrale femminile al Mondiale. Donne che nel calcio possano fare qualsiasi lavoro. E, da agente, qualcosa che io so che farò prima o poi».

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Cosa?

«Un contratto a una calciatrice che economicamente valga quello dei top player uomini. E se non ce la faccio io, ce la farà qualcuno dei giovani procuratori della nostra scuola».

Nella vostra agenzia come lavorate con le calciatrici?

«Ci piace l’evoluzione che sta facendo Barbara Bonansea, l’azzurra della Juventus. Il progetto lo avevo immaginato una decina di anni fa quando gestivamo i Milan Day in Brasile: migliaia di ragazzi da scoutizzare, ma anche qualche decina di ragazze. In Brasile c’è una società molto egualitaria e le donne giocano a calcio anche in strada. A loro abbiamo garantito provini nei college americani che puntano forte sul soccer universitario. In ogni caso il calcio femminile, per soldi, interesse e livello di gioco è un’altra cosa rispetto a dieci anni fa e di questo si accorgeranno tutti».

Una figura come la sua, Rafaela, può essere di ispirazione.

«Sento la responsabilità di quello che dico: alle ragazze dico di non perdere mai l’ambizione e di capire che il pregiudizio che le colpirà è figlio della paura della loro affermazione. Non si devono autolimitare mai, non devono credere a quello che dicono di loro: gli uomini temono di perdere il loro spazio. Io spero che leggendo questa intervista una donna possa pensare che è una giornata migliore e dire vado avanti».

Lo ricorda il suo primo contratto?

«Sono una donna con il diritto nel destino: lo conservo in ufficio, un foglio di quaderno scritto a sei anni in cui ottengo che mio fratello sia mio schiavo per un giorno. Ho lavorato all’Antitrust brasiliano ai tempi delle privatizzazioni; sono un’avvocata internazionalista, sognavo le Nazioni Unite. Ora provo a unire le mie esperienze con il calcio, cercando di aprire i trust per farlo più grande, universale e inclusivo».

Avvocato e procuratore sono mestieri molto differenti.

«Ai giocatori nessuno dice la verità quando diventano importanti. Se tutti ti dicono che sei bello, la mamma (come l’agente) non può dirti che sei bello tutti i giorni. Una barzelletta sbagliata farà ridere se sei persona di successo, ma sempre sbagliata è. L’agente questo lo deve dire, come uno di famiglia. L’avvocato deve difenderti e basta. Se non diciamo la verità, noi agenti non serviamo a niente. Diciamo che un altro vantaggio dell’essere donna è che ci mandano meno a quel paese, i nostri assistiti».

E lei, da donna, consiglia i suoi giovani assistiti anche dal punto di vista del rapporto con le ragazze?

«Io penso che posso aiutarli a essere maschi migliori: hanno tanta gente che gli si butta tra i piedi. Hanno un potere enorme. Ecco, a tutti, metto di fronte l’immagine della loro madre o delle loro sorelle: comportatevi con le ragazze come vorreste che altri maschi facessero con le donne che vi sono più care».

Machismo e maschilismo nel calcio.

«Gli atleti ora adolescenti sono meno chiusi verso omosessualità, diversità di genere. E loro e le loro famiglie non hanno proprio nulla da ridire sul fatto di essere contattati da un agente donna. Il maschilismo è ancora fortissimo tra i club e tra i miei colleghi, invece. Ma ci difendiamo bene lo stesso: ricorda il discorso degli squali?».

 

Rafaela e la famiglia.

«La mia famiglia è in Brasile, sono di San Paolo: ho un compagno che ha figli, io ho la sensazione di averne una quarantina... i miei assistiti. A me bastano (sorride, di un sorriso colmo di affetto al pensiero dei suoi campioni, ndr)».

Tra i vostri talenti quello irregolare e fragoroso di Mario Balotelli.

«Noi non possiamo disegnare la vita a nessuno. E Mario ha un suo percorso, fatto anche di consigli che lui può seguire o no. Un agente fa così e sa stare al suo posto». 

Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 09:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA