La varietà degli usi non è appannaggio dei/delle soli/e parlanti, ma anche degli/delle scriventi.
IL PRINCIPIO
No, non finiremo per scrivere tutti così. Un principio regolativo cardine nel funzionamento di una lingua è il risparmio, che investe soprattutto il parlato ma interessa anche lo scritto. E come fare per trasferire quelle forme proprio al parlato? Diamo retta agli improvvisati sostenitori dello schwa che pensano, trattandosi di un suono preciso, di poterne estendere a tutta l’Italia gli usi dialettali o di poter prendere esempio dall’inglese, che di suoni vocalici intermedi se ne intende? Siamo di fronte all’ennesima follia di un politicamente corretto che il 4 maggio scorso ha indotto il ministro dell’Istruzione francese, Jean-Michel Blanquer, a inviare ai direttori amministrativi centrali, ai provveditori agli studi e al personale ministeriale una circolare che, se incoraggia talune forme di scrittura inclusiva (come il femminile dei nomi di professioni e mestieri), ne vieta altre, colpevoli, specie ai danni di allievi dislessici, di rendere più difficoltosa la lettura (oltreché l’apprendimento) del francese. La storica Hélène Carrère d’Encausse, segretaria permanente dell’Académie française, e lo scrittore e critico letterario Marc Lambron, nella premessa al testo, accusano i fautori della scrittura inclusiva di brutalizzare, in modo arbitrario e innegoziabile, i ritmi naturali dell’evoluzione linguistica. Nel 2017 un’altra circolare (22 novembre), diramata dal primo ministro Édouard Philippe, aveva invitato i membri del Governo a rinunciare all’écriture inclusive, per esigenze d’intelligibilità e di chiarezza, nei documenti ufficiali destinati al pubblico. Fra i principali imputati, oggi come allora, il “punto mezzano” (point médian) con la stessa funzione dello slash. Vuoi mettere, al confronto con les candidates et candidats o les personnes candidates, il più economico les candidat·e·s? Una brutta mattina anche noi, sfogliando (o scorrendo) le pagine di un quotidiano, potremmo leggerci “gli·le italiani·e”, “i·le lavoratori·trici in sciopero”, “gli·le studenti·esse scesi·e ieri in piazza”.
LA MOSSA GIUSTA
Un’altra recente questione, assai più delicata, chiama ben altrimenti in causa la discriminazione linguistica nei confronti delle donne. L’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, incalzato da una campagna guidata da un’italiana trapiantata a Londra, Maria Beatrice Giovanardi (già riuscita in un’analoga impresa contro l’Oxford Dictionary), ha depennato dal suo dizionario on-line di sinonimi e contrari gli “equivalenti” denigratori di donna: da cagna a zoccola. Sebbene un dizionario abbia il preciso compito di registrare l’esistente, sia pure con le dovute avvertenze, qui la cosa ci può senz’altro stare, data la tipologia del repertorio, anche per porre un freno a un montante sessismo verbale. Purché non si pretenda di mettere mano al passato per cancellare ogni traccia degli epiteti offensivi patiti dalle donne. Significherebbe volerlo rimuovere. Il passato dovrebbe invece ricordarci, per impedirci di rifare gli stessi errori, gli uomini che siamo stati.
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