Calendario Pirelli, la fotografa Emma Summerton: «Vi svelo The Cal 2023. I miei scatti d'amore per ritratti di Muse»

Mercoledì 28 Settembre 2022 di Valentina Venturi
Emma Summerton con la modella Adwa Aboh

La sublimazione della bellezza femminile.

Come solo la fotografia può fare. Tecnica più ingegno, e l’istante dello scatto diventa un’opera. È il caso di Emma Summerton e del Calendario Pirelli 2023. Nel nuovo The Cal (la presentazione ufficiale sarà a novembre) la fotografa di origini australiane ma di fama internazionale ha unito il bello al contemporaneo, senza trascurare l’inclusività. Donne filtrate dallo sguardo di una donna, quinta fotografa a firmare le immagini Pirelli: prima di lei si sono alternate dietro l’obiettivo Sarah Moon nel 1972, Joyce Tenenson nel 1989, Inez Van Lamsweerde del Calendario 2007 del duo Inez and Vinoodh e Annie Lebovitz nel 2000 e nel 2016. La carriera di Summerton inizia nel 1988 quando da Sydney si trasferisce nel Regno Unito e collabora con l’artista Fiona Banner, nominata per il Fiona Banner,. Entra in contatto con Vogue Italia diretto da Franca Sozzani e si immerge nella fotografia di moda, creativa e autorevole. Per The Cal 2023 ha scelto di dedicare delle “Love Letters to the Muse” (tre giorni di set a giugno New York e una giornata a Londra a luglio), immortalando modelle in un costante dialogo tra sogno e realtà. Ogni musa designata ha quindi una sua specifica ragion d’essere: Lauren Wasser la ragazza dalle gambe d’oro simboleggia l’atleta, Cara Delevingne rivela la performer e Adut Akech l’acchiappasogni; He Cong dà vita alla saggia e Precious Lee è narratrice, Adwoa Aboah è la regina e Ashley Graham è l’attivista, Bella Hadid interpreta lo spiritello delle fiabe e Karlie Kloss è l’esperta di nuove tecnologie, Lila Moss simboleggia la veggente, Sasha Pivovarova identifica la pittrice, Emily Ratajkowski la scrittrice, Guinevere van Seenus l’alter ego fotografa e Kaya Wilkins è la musicista.

La 49esima edizione di The Cal è una “Lettera d’amore alla Musa”: cosa significa?

«Ho voluto descrivere le donne che mi hanno ispirata nel mio lavoro, risalendo all’etimo dell’antica Grecia della parola Musa che non è colei che ispira l’artista ma è l’artista stesso; ho riportato il significato di questa parola alle origini, al senso primigenio, primordiale.

Volevo che il Calendario Pirelli permettesse a queste splendide donne di diventare fonte di ispirazione per le altre».

Da oggi è nella storia della fotografia: si è candidata o è stato un incontro fortunato?

«Presumo che il mio lavoro sia stato esaminato insieme a quello di molti altri colleghi. Un bel giorno ho ricevuto un sms: non riuscivo a credere ai miei occhi. Ammettiamolo: il Calendario Pirelli è sempre stata un’esperienza che avrei voluto fare da quando ho iniziato questo lavoro».

Un’occasione attesa a lungo?

«Negli anni ho spesso chiesto al mio agente: ma come si può far accadere questa cosa? È Pirelli che ti chiama o siamo noi che dobbiamo andare da loro?. In effetti non ho mai ricevuto una risposta precisa. Mi sono confrontata anche con dei colleghi che avevano fatto il calendario: nemmeno loro sembravano avere le idee chiare a questo proposito. È rimasto un mistero irrisolto fino all’sms».

Quando ha iniziato a collaborare con “Vogue Italia”?

«Ero giovane quando mi sono trasferita a Londra. La fotografia di moda che veniva pubblicata su Vogue Italia era una forma d’arte: la direttrice Sozzani l’ha rivoluzionata, trasformandola in un mondo mai visto prima. Le foto di Paolo Roversi, di Sarah Moon, Steven Meisel e Peter Lindbergh erano arte. Cominciare a fare l’assistente per Edward (Enninful, direttore di British Vogue ed European Editorial Director di Vogue Europe, ndr) è stato interessante e bellissimo. E finalmente arriva Franca Sozzani».

L’ha conosciuta subito?

«C’erano dei passaggi prestabiliti. Prima venivi presentata ad Ariela Goggi e se le cose andavano bene Ariela ti permetteva di avere accesso a Franca. Incontrare Franca era come incontrare una figura mitologica, un essere umano extra umano. Stare con lei, lavorarci insieme e collaborare era come essere utili a una divinità, come venire incoronata regina. Franca era la dea della moda e lavorare per lei e il suo giornale è stato l’avverarsi di un sogno. Franca era più avanti persino rispetto al concetto di essere una visionaria».

Di norma lavora da sola o ha un’equipe consolidata?

«Per un progetto creativo come The Cal è fondamentale una squadra affiatata: è imperativo che tutti lavorino bene e in sintonia. Si parla molto, si scambiano idee e impressioni, ci si aiuta. È una collaborazione reciproca che ci doniamo ed è una cosa pregevole del mio lavoro poter intessere rapporti professionali che sfociano nell’amicizia vera. Quando ho conosciuto Amanda (la costumista Harlech, ndr) ci siamo dette un sacco di cose e abbiamo parlato a lungo, con Viki (la set designer Rutsch, ndr) lavoro da 12 anni e ci siamo capite da subito. Quello della fotografia è un lavoro che riguarda moltissimo l’emotività. Lo considero un grande regalo e anche un privilegio del mio lavoro».

Come definirebbe il suo stile?

«È una delle cose a cui mi sono dedicata anima e corpo dopo aver terminato il mio apprendistato come assistente: far sparire la mia immagine di fotografa, facendomi riconoscere solo attraverso il mio lavoro».

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Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 13:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA