Tumori, la fisica nucleare pioniera: «Il mio micro laser cura anche il cancro»

Sabato 27 Febbraio 2021 di Franca Giansoldati
Tumori, la fisica nucleare pioniera: «Il mio micro laser cura anche il cancro»

Di sé dice scherzando di avere tanti anni come il laser. «Sono nata nel 1960». Il fatto è che tutta la carriera scientifica di Rosa Maria Montereali, fisica nucleare e direttrice del Laboratorio Micro e Nanostrutture per la Fotonica all'Enea nel Dipartimento Fusione e Sicurezza Nucleare, è stata segnata dallo studio dei fotoni, sulle cui applicazioni è considerata una autentica pioniera. È grazie a lei che è stato possibile miniaturizzare le sorgenti di luce oggi fondamentali, per esempio, nell'applicazione medica.

Se la radioterapia per i malati di cancro è sempre più efficace, controllata e meno invasiva lo si deve anche alla Signora dei fotoni'.

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Su quale nuova frontiera sta lavorando il team che lei dirige?
«Stiamo studiando come il fluoruro di litio sia necessario per le applicazioni biomedicali, come rivelatore di radiazioni. In pratica questo materiale lo usiamo per misurare la dose di radiazione da dare nella radioterapia, nella cura dei tumori per esempio. E questo per rendere più controllati gli irraggiamenti dei pazienti. La nuova frontiera è curare i tumori bombardandoli con i protoni. Stiamo avendo ottimi risultati. Io dico scherzando che in laboratorio giochiamo con i colori, blu rosso e verde, i fasci di luce colorati».


Sembra quasi divertente...
«Per certi versi lo è. Si tratta di rivelatori di radiazione innovativi basati su cristalli e film sottili di fluoruro di litio, un composto trasparente molto utilizzato in ottica, che ci ha permesso di ricostruire per la prima volta l'intera curva di deposizione dell'energia, la cosiddetta curva di Bragg, in un materiale simile al tessuto umano».


Come le è venuta la passione per la fisica sperimentale e nucleare?
«Al liceo lessi un libro illuminante. Parlava della natura ondulatoria e corpuscolare della luce, per questo motivo scelsi fisica anche se la seconda opzione era fare la giornalista. Credo anche di essere stata incoraggiata in questa scelta da mio padre che era un ingegnere e che mi ha trasferito la passione per i numeri e la matematica. Diciamo che la mia crescita non è stata di certo caratterizzata dagli stereotipi soliti: i maschi sono più portati che le femmine alle materie scientifiche».


E così che è entrata all'Enea...
«Non subito. Una volta laureata sono stata chiamata da una grande azienda privata, la Telespazio ad occuparmi di ricerca sulle traiettorie dei satelliti. Eravamo solo due donne nella divisione ricerca e sviluppo. Tuttavia l'impatto è stato positivo e mi sono sentita giudicata per quello che facevo. Ho avuto la fortuna di avere colleghi e capi molto rispettosi delle competenze e delle capacità. Non ho avvertito un gap di genere. Contava la competenza e come i compiti affidati venivano portati avanti».


Poi ha scelto la via della ricerca...
«Anche all'Enea quando sono entrata, era il 1988, c'erano pochissime donne. Con il tempo sono aumentate, e oggi le ricercatrici sono tante (anche se sempre una minoranza). In più si presta maggiore attenzione al discorso della parità. A mio parere, almeno nel mondo della ricerca, le donne che arrivano sono sicuramente più motivate e tendono a fare più squadra, forse perché più empatiche».


Lei a 37 anni ha coordinato un progetto europeo che si è rivelato fondamentale per la miniaturizzazione delle sorgenti di luce...
«È servito a realizzare una sorgente miniaturizzata che facesse luce nel rosso e nel verde e nel blu: a quel tempo la ricerca nella fotonica era agli inizi e riuscire a individuare con un unico materiale una sorgente unica che facesse luce sui due colori verde e rosso - usando una pompa esterna blu era all'avanguardia. La base del laser miniaturizzato».


A cosa serve?
«A semplificarci la vita. Dai display a curare il cancro migliorando i rivelatori di radiazione e semplificando il loro uso».


Lei cosa ha scoperto di preciso?
«L'uso del fuoruro di litio in fotonica. Un materiale trasparente che si bombarda con radiazioni ionizzanti e nel quale si formano difetti elettronici che assorbono la luce blu e la riemettono nel rosso e nel verde. Questa tecnica era nota ma la novità era di rendere tutto piccolo, miniaturizzarlo. Invece che usare i cristalli siamo riusciti a passare a dei film sottili».


Una rivoluzione...
«Una buona piattaforma per continuare ad andare avanti».


Come ha conciliato carriera scientifica e famiglia?
«Facendo i salti mortali con doppio avvitamento. Naturalmente devo dire grazie a mio marito, anche lui fisico nucleare come me, e a mia madre, e poi il fatto di vivere a Frascati, quindi era tutto molto vicino ai laboratori di ricerca. Le scuole dei miei due figli per esempio. Ho cercato per quanto possibile di semplificarmi la vita».


Ha un modello di donna che l'ha ispirata?
«Ho sempre ammirato in modo straordinario Marie Curie, non solo perché ha ricevuto due Nobel: in chimica e in fisica. Ma perché è stata una persona umanamente eccezionale, lo testimonia la sua vita, i suoi viaggi, l'impegno umanitario in un periodo in cui per le donne le cose non erano di certo facili».


Mai stata discriminata nel suo mondo?
«Ultimamente ho riflettuto su un episodio che fa capire che le differenze di genere sono sempre dietro l'angolo. Qualche tempo fa ad un convegno internazionale tra accademici e ricercatori su uno dei temi che trattiamo in laboratorio era stato invitato come relatore un giovane scienziato coreano. Al termine dell'intervento mi sono avvicinata per fargli alcune domande. Ero l'unica donna. Lo scienziato nella conversazione mi ha praticamente esclusa. E questo per il fatto che ero donna. Penso che per una donna sarà sempre tutto un po' più faticoso. Per questo bisogna non abbassare mai la guardia per arrivare ad una effettiva parità».

Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 11:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA