Natalia Tsarkova, la pittrice dei Papi: «Era un compito affidato solo ad uomini, ma i tempi sono cambiati»

La prima artista ammessa all’Accademia delle belle arti di tutte le Russie

Sabato 7 Gennaio 2023 di Franca Giansoldati
Natalia Tsarkova, la pittrice dei Papi: «Era un compito affidato solo ad uomini, ma i tempi sono cambiati»

Si chiama Natalia Tsarkova ha 56 anni e di mestiere fa ritratti ai Papi.

Da trent’anni questa artista di nazionalità russa ma naturalizzata in Italia è la protagonista indiscussa di un’arte antica e prestigiosa nella quale - nei secoli passati – si sono cimentati mostri sacri del calibro di Raffaello, Caravaggio, Michelangelo. È stata la prima donna ammessa negli anni Ottanta alla prestigiosissima Accademia delle belle arti di tutte le Russie sotto la guida del grande maestro Ilia Sergeevic Glazunov che la considerava un talento.

Padre Georg e l'attacco a papa Francesco: «Mi dimezzò come prefetto». Con la morte di Ratzinger pace finita tra conservatori e progressisti

Da Mosca al Vaticano: che percorso ha fatto?

«Il destino ha sempre più fantasia di noi. Ho semplicemente vinto una borsa di studio. Era il 1995. Dovevo restare in Italia un paio di mesi ma alla fine mi ci sono trasferita. Respiravo l’arte, potevo restare ore e ore agli Uffizi o ai Musei Vaticani davanti a un quadro; vibravo davanti ai colori, alle sfumature, alle pennellate dei grandi maestri. In quel periodo ho iniziato a fare ritratti». 

Soprattutto famiglie importanti e blasonate, nobildonne, rampolli della aristocrazia romana...

«Molti di quei quadri fanno ormai parte di importanti collezioni private, mentre altri sono esposti in musei. In vista del Giubileo ho avuto l’incarico sorprendente di fare un ritratto a Giovanni Paolo II: quella tela ora è a Washington. Papa Wojtyla ne fu entusiasta. Lo ritrassi col bastone ma vigoroso nell’atto di benedire la gente che usciva dal chiaroscuro sullo sfondo». 

Dipingere un Pontefice è facile?

«Fare ritratti per me significa studiare tanto la persona, la sua psicologia. Devo arrivare ad accarezzargli l’anima ed è una cosa che faccio con chiunque devo ritrarre. Per me significa catturare quella luce personale, quell’energia unica che ognuno di noi ha acceso nel profondo. Concepisco i miei quadri come fossero dei figli». 

Si può spiegare meglio?

«È come fare rinascere una persona. Un quadro ha bisogno di una gestazione, di una riflessione, di un periodo nel quale, dentro di me, riesco a mettere a fuoco la personalità di chi ho davanti. Personalmente non ho avuto figli e forse è per questo che per me ogni quadro è come se fosse una sorta di parto. È una creazione, non è solo una tela piena di colori». 

Una grande responsabilità...

«Per ritrarre Wojtyla, ma pure Ratzinger e anche Giovanni Paolo I mi sono letta prima tutte le encicliche, i discorsi, ho analizzato migliaia di immagini e filmati, ho fatto schizzi dal vivo. A parte per Papa Luciani che è morto nel 1978 e mi sono dovuta accontentare del repertorio visivo che mi è stato messo a disposizione. Per farla breve dovevo entrare nel profondo di ognuno di loro. Ogni ritratto è un simbolo che veicola un messaggio». 

Un tempo erano tutti pittori uomini i ritrattisti ufficiali della curia, ora è una donna...

«I tempi cambiano per fortuna». 

Si è mai sentita discriminata in Vaticano quando lavorava?

«Mai e per nessun motivo. Non sono mai stata vista come una donna ma come una artista e per me parlava il mio lavoro internazionale. Io penso che le donne ritrattiste abbiano una marcia in più rispetto ai colleghi perché possono fare uso delle sensibilità proprie della loro natura femminile. Le donne sono spiritualmente e strutturalmente più forti per natura, sono state fatte per far nascere bambini. Può sembrare un particolare secondario ma non lo è. La pratica artistica può attingere a queste risorse in modo abbondante. Fare un quadro implica pazienza, forza fisica e spirituale, sacrificio. Un dipinto può stare in preparazione per anni. Il ritratto di Ratzinger che gli ho consegnato tre mesi fa mi è costato tre anni. Ogni volta è qualcosa di diverso e anche per me il quadro significa una crescita intellettuale, spirituale e tecnica». 

A quali pittori si ispira?

«Quando ero bambina e venivo considerata un enfant prodige ero attratta dagli impressionisti. Per me erano come le favole, mi facevano sognare. Poi con gli anni ho virato e sono tornata indietro, apprezzando il classico. Soprattutto Velasquez e Van Dick. Amo di loro la perfezione e la non definizione. Infine ho mescolato tutto questo con la spiritualità dei tratti precisi delle Icone». 

Quali sono le sue opere più conosciute?

«Probabilmente l’Ultima Cena, un’opera del 2002, si tratta di una tela di grandi dimensioni innovativa nella composizione e dalla forte valenza simbolica. È stata esposta nella Chiesa di santa Maria delle Grazie a Milano accanto al Cenacolo di Leonardo, e nella basilica di Padre Pio, quella progettata da Renzo Piano a San Giovanni Rotondo. Un altro quadro che ha riscosso tantissimo successo è quello che ha voluto Papa Wojtyla dedicato ai Misteri della luce». 

Ultimo aggiornamento: 15:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA