Asha, dalle baracche di Mumbai a Gucci: il riscatto di 150 sarte indiane

Sabato 13 Marzo 2021 di Franca Giansoldati
Asha, dalle baracche di Mumbai a Gucci: il riscatto di 150 sarte indiane

Asha Sagar il suo futuro non lo avrebbe mai immaginato così, neppure lontanamente.
Non sapeva che la sua vita sarebbe cambiata così tanto, soprattutto in meglio, grazie alla sua cocciutaggine e ai sari. Lei che fino a cinque anni fa si sentiva quasi un fantasma nella società e faticava persino ad uscire dalla baraccopoli, sforzandosi ad alzare lo sguardo quando qualcuno le chiedeva qualcosa, abituata come era a restare in disparte, a sentirsi un nulla.
La cultura più tradizionale dell'India rende ancora le donne provenienti dagli ambienti rurali figure schiacciate dalle rigide regole della tradizione, praticamente vengono discriminate due volte, prima per l'appartenenza al sesso femminile e poi dalla bassa posizione sociale.

Così Asha, 40 anni, quando ha iniziato a lavorare per I Was a Sari non immaginava che fosse possibile ribaltare la sua sorte.


Altro che rivoluzione. Di lì a poco avrebbe imparato un mestiere e scoperto in se stessa un mondo di risorse. Lo stipendio guadagnato con il tempo le ha ridato quella fiducia mai avuta in se stessa. Fino a diventare, in questo tempo di pandemia, il principale sostegno della famiglia mentre il marito, nel frattempo, restava disoccupato perché con il Covid nessuno utilizzava più il suo risciò. Ed è stato in quel momento preciso che Asha si è riscattata.


L'incredibile cammino di emancipazione l'ha portata fino a Roma. Poco prima del lockdown, assieme ad altre quattro artigiane dei sari, è stata ammessa dalla Maison Gucci ad affinare le tecniche del mestiere. Il sancta sanctorum dell'alta moda divideva con loro i segreti dell'atelier al fine di rendere queste artigiane indiane ancora più abili e forti. Quasi una favola. Asha tornando a Mumbai ha trasferito alle altre compagne le competenze acquisite facendo da istruttrice.


Chi lo avrebbe mai detto che la scommessa di Stefano Funari seminasse così tanto. Questo ex manager trasferitosi in India dieci anni fa - lasciandosi alle spalle una brillante carriera in una multinazionale in Svizzera - scelse di stabilirsi a Mumbai per gettare le basi in quello che sarebbe diventato il Progetto Sari, basato sull'empowerment femminile e la riutilizzazione dei sari di seta usati. Stoffe scartate, ritagli di tessuti quasi impalpabili destinati a riprendere vita sotto altre forme. Borse, foulard, parei, abbigliamento da casa, pigiami, camicioni, vestaglie, abiti non impegnativi, kimoni, kaftani.


La prima collezione di I Was A Sari non poteva che chiamarsi, Now I Can, Ora posso, che è poi quello che è effettivamente accaduto nella vita di Asha e delle artigiane di Mumbai. Infine è arrivato Gucci che quattro anni fa ha appoggiato questo progetto mandando in India ad insegnare alle atigiane gli stilisti più affermati, i migliori fotografi, i designer, gli esperti di marketing non solo per arrivare a confezionare dei capi impeccabili, belli e competitivi ma soprattutto per contribuire a fare uscire dal cono d'ombra e dare un futuro a donne come Asha.


Per ora sono 150 le artigiane che ne hanno beneficiato ma il progetto è in espansione. Ognuna di loro ha potuto ritrovare la propria dignità con l'emancipazione economica e di conseguenza un posto nella società. «In pratica queste giovani donne hanno imparato a lavorare sari vecchi o altri tessuti recuperati che altrimenti andrebbero andati distrutti. La capacità che hanno affinato anche grazie a Gucci riesce davvero a compiere ogni giorno un piccolo miracolo. I Was Sari è un marchio che oggi viene venduto in Europa e negli Stati Uniti e si sta affermando» ha spiegato il manager raggiunto a Mumbai.


Per certi versi è la realizzazione di un sogno che parla di libertà e dignità. Le donne che lavorano per I Was A Sari sono dotate anche di un programma medico, di una assicurazione e di borse di studio per l'apprendimento.

Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 16:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA