Wilde l’indecente fa il poeta in aula

Domenica 22 Ottobre 2017 di Carlo Nordio
Oscar Wilde
2
Nella primavera del 1895 il Palazzo di Giustizia di Londra, il venerabile Old Bailey, ospitò in rapida successione tre processi con uno straordinario protagonista: Oscar Wilde, il più celebre , o comunque il più discusso tra gli scrittori britannici dell’epoca, un genio eccentrico accusato di sodomia. 

Di Oscar Wilde sono famosi i romanzi, le commedie e soprattutto i paradossali aforismi. L’uomo era, come il suo precursore Lord Byron, di costumi spregiudicati e di vivacità corrosiva. Alcune sue arguzie sono rimaste celebri, benché non sempre originali. Quella, ad esempio, che l’unico modo per vincere le tentazioni consiste nel cedervi, è copiata da Isidoro, figlio di Basilide, uno gnostico del terzo secolo che invitava a soddisfare senza paura «lo stimolo aspro e tenace della libidine» perché solo così, «calmato il fuoco segreto della passione, potrai pregare con anima lieta e con sorridente coscienza». Come si vede, nulla di nuovo sotto il sole. Ma torniamo al nostro poeta.
Il primo processo iniziò il 3 Aprile e nacque da quella che oggi chiameremmo una querela temeraria. Wilde aveva (tra le altre) una relazione con il giovane Lord Alfred Douglas, figlio del marchese di Queensberry. Il roccioso genitore, un po’ per burbero moralismo vittoriano e un po’ per prudente interesse dinastico , aveva intimato allo scrittore, definito un sodomita, di stare alla larga dal suo rampollo.

AVVOCATO
Wilde si rivolse a un avvocato, e, nonostante il consiglio del legale di soprassedere, sporse denunzia per calunnia e diffamazione. Il marchese di Queensberry invocò l’“exceptio veritatis”, sostenne cioè di potere dimostrare che il querelante era davvero un omosessuale. Le parti fecero sfilare una valanga di testimoni, dai nobili amici dei circoli londinesi fino ai più improbabili truffatori e ai loschi tenutari di bordelli maschili. Le relazioni ambigue del poeta emersero nella loro intensità ed estensione: il marchese fu assolto e Oscar Wilde si trovò incriminato di «sodomy and gross indecency».

Questo crimine era allora contemplato in Inghilterra come in altri Paesi d’Europa, e fino a pochi anni prima era punito con la morte, con la castrazione o con altre forme di antipatico contrappasso. Il reato, peraltro, non comprendeva la sodomia in senso stretto, ma ogni atto sessuale considerato “abnorme”, cioè non indirizzato alla procreazione. 

PURITANA
In quanto tale, gli Stati Uniti lo conservarono fino a pochi anni fa. La puritana America è sempre stata attenta a queste distinzioni. E il presidente Clinton, dopo aver formalmente negato di aver avuto rapporti sessuali con Monica Lewinksy, se la cavò specificando che, non essendosi trattato di una copula vaginale ma di un rapporto “improprio”, non poteva essere accusato di spergiuro. Queste sottigliezze non toccarono comunque il nostro poeta, che aveva sperimentato tutte le possibili variazioni.

Così, il 26 aprile 1895, cominciò il secondo processo. Il pubblico ministero si dimostrò inabile e sprovveduto, pretendendo di provare le tendenze dello scrittore attraverso le opere sue e del suo amichetto. Con incredibile ingenuità gli chiese cosa significasse l’espressione: «The love that dare not speak its name»- l’amore che non osa pronunziare il suo nome - tratta da una poesia del giovane Douglas. Wilde rispose con un’eloquenza che gli valse quasi l’assoluzione: «È- disse - il profondo, spirituale e più nobile affetto per un uomo più giovane». Citò come esempi significativi il re David, Michelangelo, Leonardo, Socrate e Shakespeare. Avrebbe potuto squadernare una lista infinita di celebrità. Il pubblico applaudì entusiasta, la giuria non trovò l’accordo sul verdetto, e si dovette ricominciare daccapo.

Si arrivò così al terzo processo, il 22 maggio. Si noti la celerità della giustizia britannica. La giuria popolare scelse un compromesso, limitando la colpevolezza all’imputazione minore di «condotta indecente».Tuttavia il giudice Sir Alfred Wills, - che le caricature dell’epoca dipingono con un’arcigna faccia da gufo - inflisse due anni di reclusione, cioè il massimo della pena. Con il rammarico - aggiunse - che la legge non ne prevedesse una più alta, perché «quello era il caso peggiore che avesse mai trattato». Attonito e annichilito, il poeta affrontò il carcere duro, scontò la pena fino all’ultimo giorno, e ne uscì prostrato. Morì tre anni dopo a Parigi: una parte delle sue debilitate energie le aveva dedicate a patrocinare una riforma del sistema carcerario inglese, di cui aveva subìto la brutalità. 

La riabilitazione giudiziaria arrivò solo qualche mese fa. Con la legge del 31 gennaio 2017 la Gran Bretagna eliminò il reato di «gross indecency», lo stesso che aveva segnato anche la vita di Alan Turing, il geniale inventore della macchina che decifrava i messaggi dei nazisti durate la seconda guerra mondiale. Così, assieme ad altri 50 mila condannati, anche Oscar Wilde, ormai morto da più di un secolo, si vide ripulito il certificato penale. 
Leggendo queste vicende, il lettore può esser colto dallo sgomento e dall’incredulità. Sembra impossibile che l’Impero Britannico, all’apice delle sue fortune, potesse perseguitare un simile genio (o qualsiasi altro suddito) per una scelta di vita che oggi viene registrata ufficialmente nei Municipi e celebrata in alcune chiese protestanti. 
PAZIENZA
Ma questo può sorprendere soltanto chi non ha avuto la pazienza di documentarsi sull’evoluzione - e sull’involuzione - dei costumi, della morale e delle leggi nel corso dei secoli. I nostri pregiudizi tendono sempre ad idealizzare il passato, ignorandone le miserie e le violenze, le contraddizioni e le stupidità. Crediamo che i fallimenti della giustizia attuale siano una prerogativa di un’epoca «senza più valori», dimenticando che proprio in base a quei valori, spesso discutibili, e comunque sempre mutevoli, tante persone subirono l’insopportabile afflizione della sofferenza fisica e dell’emarginazione sociale. Ci scandalizziamo - e giustamente - dei nostri quotidiani errori giudiziari, dimenticando che le condanne più ingiuste del passato furono pronunciate nelle più perfetta legalità. Da Socrate a Gesù a Galileo, via via fino al più modesto Oscar Wilde, i magistrati hanno applicato le leggi allora vigenti, e nessuno di loro può esser rimproverato. 
In effetti, l’unico da rimproverare in questa paradossale vicenda è proprio il nostro creativo protagonista. Non certo per i suoi gusti sessuali, e tantomeno per i suoi scritti, ma per la sua dilettantesca imprudenza nel rivolgersi alla giustizia. Perchè fu proprio Oscar Wilde a provocare il suo calvario, querelando l’austero Marchese d Queensberry e perdendo la causa. Il bello è che il suo avvocato l’aveva caldamente consigliato di starsene buono. A conferma di uno dei tanti aforismi del proprio geniale cliente, che dare consigli è inutile, ma darne di buoni è assolutamente fatale.
Ultimo aggiornamento: 27 Ottobre, 12:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci