Ucraina, dalla Cattedrale di Santa Sofia al Caravaggio ad Odessa: i capolavori d'arte a rischio per la guerra

Domenica 27 Febbraio 2022 di Leonardo Jattarelli
La cattedrale di Santa Sofia a Kiev

I capolavori d’arte a rischio con la guerra Russia-Ucraina sono di inestimabile valore.

Il conflitto potrebbe cancellare opere uniche al mondo e si sta cercando di mettere a riparo da eventuali attacchi anche le “fortezze” dell’arte: dalla suggestiva Cattedrale di Santa Sofia a Kiev, con le sue cupole dorate, alle testimonianze archeologiche di Sebastopoli con i resti di una città fondata dai greci sulle rive del Mar Nero. 

I capolavori a rischio


Ma a rischio è anche il centro storico medievale di Leopoli a Cernivci, la favolosa residenza dei metropoliti bucovini e dalmati con la sua ottocentesca e opulenta sinergia di stili architettonici, il museo di Odessa, che tra i suoi tesori vanta persino un Caravaggio. A rischio distruzione, nell’Ucraina ci sono testimonianze di tutte le epoche storiche a cui si aggiungono le meraviglie della natura, come le faggete, che l’Unesco ha già inserito nella sua prestigiosa lista, o la steppa, che risulta tra i siti candidati. Pagine di storia e di bellezza che ora potrebbero essere cancellate dai bombardamenti, sacrificate dalle esigenze della guerra, devastate, razziate. Nel Paese i siti certificati dall’Unesco sono in tutto sette, ma altri se potrebbero aggiungere nei prossimi anni se venissero accettate le 17 candidature, dai resti dell’antica città di Tyras, antico porto commerciale del mondo antico fondato alla fine del VI secolo a.C., alla foce del Dnestr, al complesso di monumenti della fortezza medievale di Sudak, dall’osservatorio astronomico di Mykolayiv, ritenuto il più antico osservatorio navale dell’Europa sudorientale, alle città rupestri della Gotia crimeana.

PATRIMONIO DELL'UMANITA'
E se tra i progetti di candidatura a patrimonio dell’umanità c’è l’intero centro storico di Odessa, con la sua raffinata struttura urbana ottocentesca dove sono cresciuti Trotsky e Kandinsky, ma anche la mitica “scalinata Potemkim” icona dei cinefili, il museo dell’arte occidentale di questa città così fascinosa e multiculturale è uno scrigno di tesori dell’arte che vanno da Caravaggio a Rubens, da Gerad David a Guercino. Una quantità impressionante di opere dell’arte europea che il regime russo aveva confiscato a nobili, commercianti, collezionisti della grande regione di Odessa che a quel tempo si estendeva dalla Romania alla Crimea.
Rubata nel 2008, ritrovata nel 2010 e quindi oggetto di un delicato restauro, c’è anche la tela attribuita a Michelangelo che vanta tra l’altro una storia avvincente e tormentata, ricostruita qualche anno fa dalla studiosa Nataliia Chechykova.
Con tutta probabilità acquistata a Parigi da Alexander Petrovich Basilewsky, un grande collezionista russo di origini ucraine, la tela, che all’epoca si intitolava “Le Baiser de Judas”, venne offerta in regalo nel 1870 al fratello dello Zar, Vladimir Alexandrovich Romanov e quindi approdò in Russia dove però, proprio tra rivoluzione e guerre, ha avuto una vita tutt’altro che facile. 
Donato all’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo, il quadro di Caravaggio venne trasferito nel 1916 nel museo di Odessa insieme ad altre 28 creazioni dei grandi maestri europei. Solo un anno dopo però la città fu investita in pieno dalla rivoluzione del 1917 e poi dalla guerra civile, conquistata e persa dall’Armata rossa più volte. Durante la seconda guerra mondiale poi, Odessa fu bombardata pesantemente e poi occupata dalle truppe romene e naziste e della “Cattura di Cristo” (come oggi viene intitolato il quadro) per un po’ non si seppe più nulla, tanto più che inspiegabilmente la tela non risultava nell’elenco delle opere messe in salvo dal museo. Data per persa, la tela ricomparve “miracolosamente” nel giugno del 1945, 14 mesi dopo la liberazione della città, riconsegnata alle autorità sovietiche dalla Chiesa Cattolica Romana. 

LE REAZIONI

L'International Council of Museums, la principale organizzazione internazionale non governativa che rappresenta i musei e i suoi professionisti, ha espresso la sua ferma condanna alla «Violazione dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina» da parte delle forze militari della Federazione Russa. In una dichiarazione, l’ICOM si è detta particolarmente preoccupata per i rischi che corrono i professionisti dei musei e per le minacce al patrimonio culturale a causa di questo conflitto armato. Entrambi i Paesi fanno parte della Convenzione dell’Aia ratificata nel 1954 e aggiornata nel 1999, per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, alla quale partecipa anche l’Italia, dal 1958.
«Questo conflitto è già profondamente angosciante e rischia di provocare un’inaccettabile perdita di vite umane, pertanto l’ICOM chiede un rapido cessate il fuoco, una mediazione immediata tra i belligeranti e sforzi coordinati per garantire la sicurezza del museo personale e proteggere il patrimonio culturale», scrive l’Organizzazione. «In tempi di conflitto e di incertezza come questi, l’ICOM deve anche esprimere la sua profonda preoccupazione per le implicazioni che questa incertezza avrà sulla sicurezza dei membri dell’ICOM, del personale del museo e del patrimonio culturale in Ucraina».
Al di là del pericolo immediato, questa crisi potrebbe presentare anche altri tipi di minacce all’integrità del patrimonio culturale, come la spoliazione e i furti. L’ICOM avverte tutte le parti interessate «di vigilare sul potenziale aumento del contrabbando di materiale culturale proveniente dalla regione», ricordando a tutti i governi i loro obblighi internazionali di proteggere il patrimonio culturale mobile ai sensi della Convenzione dell’UNESCO del 1970 sui mezzi di Proibizione e prevenzione dell’importazione, dell’esportazione e del trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali, oltre che della Convenzione UNIDROIT del 1995 sugli oggetti culturali rubati o esportati illegalmente.

I COMMENTI
«Oggi siamo prima di tutto cittadini, non artisti. Questo accade sempre durante una guerra», è il commento di Serhij Zhadan, poeta e scrittore, considerato uno degli innovatori della lingua ucraina contemporanea. «Siamo un Paese e una nazione, sosteniamo il nostro esercito, tutti i miei colleghi vanno al fronte come volontari».
Dure anche  le parole del regista Sergei Loznitsa, nato in Bielorussia nel 1964, quando questa faceva parte dell’Unione Sovietica e trasferitosi in seguito in Ucraina: «Purtroppo la storia si ripete, per otto anni, la Federazione Russa ha condotto una guerra contro l’Ucraina. Per otto anni, l’Europa occidentale ha cercato di ignorare questa guerra, ha continuato a cooperare e sostenere l’aggressore». «Ora, stiamo tutti raccogliendo i frutti di questa politica di “pacificazione”. Gli organi di potere russi hanno calpestato tutti gli sforzi di pace e sono andati avanti. Se ora non ci sarà una dura reazione da parte dei paesi dell’UE e della NATO, finirà male per tutti», ha continuato il regista, autore di un episodio di “I ponti di Sarajevo”, film collettivo del 2014, presentato al Festival di Cannes nel 2014 e incentrato sulla storia della città nel corso delle varie epoche, dall’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando del 1914 fino al terzo millennio.
Sulla vicenda è intervenuta anche Marina Abramovic, in un video pubblicato sulla sua pagina Instagram. «Lo scorso anno sono stata in Ucraina e ho avuto modo di conoscere l’orgoglio, la forza e la dignità del popolo ucraino, che ha la mia piena solidarietà», ha dichiarato l’artista, che nel 1997 vinse il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia con "Balkan Baroque", una performance entrata nella storia dell’arte, durante la quale Abramovic ripuliva dalla carne e dalla cartilagine residua un mucchio d’ossa di bovino, in un rituale di purificazione di se stessa e per le stragi che avvenivano nei Balcani. «Questo attacco all’Ucraina è un attacco a tutti noi, un attacco all’umanità. Deve finire immediatamente».

Ultimo aggiornamento: 16:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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