Salvatore Esposito: «In Italia mi ignorano, negli Usa Spielberg ha voluto conoscermi»

Martedì 8 Settembre 2020 di Gloria Satta
Salvatore Esposito: «In Italia mi ignorano, negli Usa Spielberg ha voluto conoscermi»
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Da killer spietato a schiavo moderno. Passando per Hollywood: «Ho avuto i complimenti perfino da Steven Spielberg che ha voluto conoscermi, mentre in Italia certi registi non trovano nemmeno il tempo di incontrarmi», rivela Salvatore Esposito. È un treno che va sempre più veloce la carriera dell'attore napoletano, pronto a interpretare ancora una volta il boss Genny Savastano nella quinta stagione di Gomorra e reduce dal set americano di Fargo 4, la serie prodotta dai fratelli Cohen.


«Arrivato a 34 anni, voglio interpretare le storie che meritano di essere raccontate», dice Salvatore. A Venezia è stato applaudito come protagonista di Spaccapietre, diretto da Gianluca e Massimiliano De Serio e unico titolo italiano in concorso alle Giornate degli Autori. Nel film, dedicato all'infernale realtà del caporalato nel Sud, l'attore perde la moglie, morta di fatica nei campi, e si ritrova con il figlio in un ghetto di braccianti, sia italiani sia extracomunitari ma tutti sfruttati, ricattati, vittime di umiliazioni e violenze. L'interpretazione straziante di Esposito colpisce al cuore e lascia spazio alla speranza.

Perché questa storia doveva essere raccontata?
«Per far sapere al mondo che nel 2020 gli schiavi esistono ancora. La nonna dei registi è morta raccogliendo ortaggi. Mi sono preparato stando nelle baracche dei braccianti stagionali che vivono nella perenne precarietà, guadagnano pochissimo, subiscono ogni genere di sopruso e vivono in condizioni igieniche deprecabili».

Voleva prendere le distanze dal boss di Gomorra che le ha dato il successo?
«No, mi auguro che questa necessità non esista più perché, oltre alla serie-cult di Sky, ho fatto film e tv anche all'estero: Taxxi 5 con Luc Besson, Fargo. Cerco sempre ruoli che mi aiutino a crescere».

Cosa vuole fare da grande?
«Affrontare nuove sfide, superare i miei limiti. Sette, otto anni fa servivo hamburger in un fast food alle porte di Napoli e oggi ho una magnifica carriera, ma non dimentico da dove vengo e cerco di mantenere i piedi per terra».

Cosa ha imparato dalle esperienze americane?
«Che esiste un approccio diverso al lavoro. Quando ero a Los Angeles hanno voluto conoscermi maestri come Spielberg, Ron Howard, Ridley Scott, Todd Phillips, Lana Wachowski, tutti fan di Gomorra. Qui da noi c'è invece poca curiosità per chi ha un grande successo, ed è uno dei motivi per cui il nostro cinema stenta ad imporsi fuori dai confini».

Com'è andata con Spielberg?
«Mi ha dato appuntamento nel suo ufficio all'interno degli Universal Studios: nella reception c'è un enorme Oscar. Mi ha detto di aver apprezzato l'evoluzione del personaggio di Genny che prima è schiacciato dal padre boss, poi diventa un killer feroce. E mi ha assicurato che ho molte possibilità. Una bella soddisfazione, per un ragazzo di periferia come me riuscito a realizzare il suo sogno di fare l'attore».

Cosa le ha lasciato il lockdown?
«Un'enorme voglia di fare e di confrontarmi con grandi idee. E la speranza che tutti rispettino le regole sanitarie, così usciremo presto da questo periodo difficile».

Il cinema si riprenderà o lo streaming è destinato a soppiantarlo?
«I film vanno visti insieme agli altri, sarebbe un delitto se le sale sparissero».

Cosa fa nel tempo libero?
«Seguo il calcio. E, inutile dirlo, sono un grande tifoso del Napoli».

C'è una qualità particolare che l'ha portata al successo?
«Forse ha ragione Stefano Sollima, il regista di Gomorra a cui devo tutto: sostiene che quando è passato il mio treno, mi sono fatto trovare pronto».

Ha dei progetti?
«A parte la quinta stagione di Gomorra, le cui riprese inizieranno presto, altre cose bollono in pentola. Intanto lavoro sodo per migliorarmi come attore. Ma soprattutto come uomo».
Ultimo aggiornamento: 15:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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