Roberto Gervaso tra gli eroi di D'Annunzio, le sue ceneri nel Mausoleo del Vittoriale

Domenica 20 Giugno 2021 di Ario Gervasutti
Roberto Gervaso, le sue ceneri sono state traslate nel Mausoleo del Vittoriale

Una nicchia ombrosa, con il lago di Garda alle spalle e D'Annunzio di fronte: qui, da ieri, non riposa Roberto Gervaso. Non riposa perché gli uomini come lui non smettono di regalare saggezza e cultura, ironia e umanità, anche se non sono più tra noi: continuerà a farlo con i suoi libri, i suoi articoli, le sue interviste, i suoi aforismi che nessuno potrà cancellare. E con il ricordo di chi lo ha ammirato e gli ha voluto bene.
Ora l'urna con le ceneri dello scrittore scomparso poco più di un anno fa sono in un piccolo sacello nero, un cilindro posto su un basamento di marmo nel Mausoleo del Vittoriale, la casa-museo voluta da Gabriele D'Annunzio sulle sponde del lago, a Gardone Riviera.
Una cerimonia intima, privata, per spostarlo da Sacrofano, dove era stato sepolto un anno fa, a un luogo simbolico ed iconico, all'ombra del Vate.

Meno di trenta amici e parenti, gli adorati nipoti («i miei teppisti», li chiamava) guidati dalla moglie Vittoria e dalla figlia Veronica. Fuori, i turisti sciolti dal sole; dentro, nella grande cripta circolare sopra la quale D'Annunzio fu sepolto insieme a dieci compagni dell'avventura di Fiume, quindici minuti di commozione, non di più. L'alzabandiera e l'inno di Mameli, le note del Silenzio squillate da una tromba, e tutto è finito. Giordano Bruno Guerri, che presiede la Fondazione del Vittoriale degli Italiani, è certo che a Gervaso sarebbe piaciuta così: «Una cosa semplice, come avrebbe voluto lui».

IL RICORDO

La semplicità in effetti era la chiave con la quale Roberto Gervaso entrava nell'animo di chi lo leggeva e lo ascoltava. Non ci si deve far condizionare dall'immagine di un'eleganza spontanea, dal vezzo del papillon: la sostanza di uno dei più grandi giornalisti e scrittori a cavallo degli ultimi due secoli era invece una straordinaria semplicità. Nei rapporti umani, e nella scrittura. Una dote che necessita di cultura sterminata e quel di più che solo la Natura regala agli artisti.
Tutti sanno chi era Gervaso: ma che cosa era? Sul basamento che contiene l'urna c'è scritto Scrittore e consigliere di amministrazione del Vittoriale. La seconda definizione è più che altro burocratica, spiega perché a lui, e non ad altri, è dato il privilegio di riposare insieme a D'Annunzio e ai suoi eroi; a pochi metri, in una nicchia identica, ci sono le ceneri della grande antropologa Ida Magli anch'essa consigliera della Fondazione che fa vivere il Vittoriale.

L'OMAGGIO

Ma Scrittore è sufficiente? Si, se consideriamo che Gervaso viveva per scrivere, e la scrittura è stata l'arma che ha usato per infilzare, sbeffeggiare, criticare, dipingere: soprattutto, far riflettere. È stato però anche molto altro: un esempio di «tolleranza e libertà», come bene ha detto ieri Pier Francesco Pingitore, autore di un'orazione breve e densa come sarebbe piaciuta a Roberto. «Ci manca la generosità, la gentilezza, il suo essere un signore della penna e dell'anima». Un signore che riusciva a essere lieve anche quando usava parole forti: «Non sarò politicamente corretto - diceva - ma me ne fotto». Poteva permetterselo, perché non era mai banale e mai allineato al coro.
I suoi aforismi sono perle impagabili, ispirati a Voltaire per ferrea convinzione e non per maniera. Era un uomo libero, un sognatore disincantato. Amava l'Italia, un po' meno gli italiani anche se in realtà non ne avrebbe mai fatto a meno perché li conosceva meglio di chiunque altro: lo facevano - lo facevamo - divertire e disperare. «Questa è l'Italia perché questi sono gli italiani», chiosava. Oggi, nell'era di Twitter dove chiunque crede di passare alla storia con 140 battute, Gervaso è un gigante circondato da formiche. È stato un re dei social quando i social nemmeno esistevano. Una regola saggia consiglierebbe di leggere qualche sua frase prima di lanciarsi sulla tastiera: non foss'altro per evitare confronti, in molti saggiamente rinuncerebbero.
«Ci manca, ci mancherà», ha sospirato Pingitore. Ma saperlo qui, «nel Sacrario della gloria che da oggi ha una gloria in più», conforta. È il luogo giusto, per mille e uno motivi. Tra D'Annunzio e i sognatori di Fiume, che anelavano un Comune libero e scrissero una delle Costituzioni più belle, democratiche, liberali che si possano immaginare, ovviamente ignorata e trasfigurata da una storiografia becera. Roberto Gervaso aspetterà al suo fianco, tra qualche mese, le ceneri di Antonio Gottardo, giovane sergente mitragliere che morì al posto del Vate quando tirarono le cannonate sul palazzo del governo di Fiume. E gli si presenterà con il suo epitaffio: «Qui giace Roberto Gervaso, che ancora stenta a crederci».
 

Ultimo aggiornamento: 21 Giugno, 09:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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