Rieti, «Mio zio Lucio Battisti, genio ed essere umano». Il racconto del nipote. Oggi l'anniversario della scomparsa

Mercoledì 9 Settembre 2020 di Sabrina Vecchi
Lucio Battisti (foto tratta dal libro “Il grande inganno”)
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«Vidi mio zio per l’ultima volta poco prima della morte, a casa dei nonni. Lo trovai bene, solo un po’ in sovrappeso». Lo zio di cui si parla è uno dei grandi della canzone italiana, Lucio Battisti, e Andrea Barbacane è uno dei suoi parenti più stretti, il figlio della sorella Albarita. Di Lucio porta lo stesso sangue, un po’ di quel celebre graffio nella voce e, probabilmente, anche lo stesso piglio: «Zio Lucio non le mandava a dire, era uno senza peli sulla lingua». Dopo un dibattito da bar, in cui sente dire che Battisti era un grande tifoso laziale, Andrea decide che è giunta l’ora di fare chiarezza su molte inesattezze che a suo dire circolano sullo zio, e mette tutto nero su bianco in un libro che già dal titolo la dice tutta: “Il grande inganno” (da cui è tratta la foto di Lucio Battisti). «Ho citato anche qualche episodio poco edificante su di lui, ma ne ho fatto un ritratto vero: era un big della musica ma anche un essere umano, e dell’artista bisogna prendere “tutto il pacchetto”, non farne un santo». Dalla fede calcistica a quella religiosa, «non era né laziale né devoto», al carattere «la sua tirchieria era proverbiale», passando per aneddoti mai accaduti «non è vero che nonno gli spaccò in testa la chitarra».

Il ricordo
Andrea scava nelle pieghe di un cantautore entrato nel mito. E sui miti, si sa, circolano anche voci e leggende, metropolitane o paesane che siano. «Non ha mai rinnegato le origini, ma è vero che non tornava volentieri a Poggio Bustone, non vedeva di buon occhio i paesani della generazione del padre, e il motivo c’è». Barbacane riferisce che in tempo di guerra il papà di Lucio combatté strenuamente per salvare vite, e nonostante questo fu tacciato di essere complice dei fascisti. «Nonno non ha mai nascosto idee di destra - dice il nipote - ma non si sarebbe mai messo contro i paesani. Loro gli furono sempre ostili, finché non divenne “zì Alfiero”: guarda caso quando il figlio diventò famoso». Un’ipocrisia che Lucio non avrebbe mai tollerato, e lo avrebbe portato a essere infastidito dal paese natale, dove tornerà poco e controvoglia. «La conferma arrivò nel 2008 - prosegue Andrea - al funerale di nonno c’erano quattro gatti, cosa che non sarebbe mai successa se zio fosse stato ancora vivo: in quel caso sarebbe stato un delirio di foto e convenevoli». I rapporti tra Lucio Battisti e la sorella si fanno sempre più tesi, «mamma voleva addirittura cambiare cognome», complice anche la separazione tra Albarita e Luigi, cognato troppo supponente: «Papà pretendeva che zio lo aiutasse, come fosse un obbligo, e questa mancanza di umiltà ha infastidito e rotto gli equilibri». Il più grande rammarico di Andrea resta quello di aver vissuto poco «quel gran genio di suo zio». «Aiuti economici? Non ce ne sono stati, ma io mi sono sempre mantenuto da solo. Mi sarebbe solo piaciuto un interessamento generale maggiore verso di noi». Troppi impegni, incrinature parentali o proiezione esclusiva verso la moglie Grazia Letizia e il figlio Luca? «Non lo so, non ho fatto in tempo a chiederglielo. Ma la magia di uno zio così speciale avrei voluto respirarla di più».
Ultimo aggiornamento: 09:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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