Canova, Giancarlo Cunial racconta le vite dell'artista di Possagno famoso in tutto il Mondo

Martedì 15 Novembre 2022 di Giovanni Carraro
Giancarlo Cunial esperto di Canova

POSSAGNO (TREVISO) - Descrivere Giancarlo Cunial è come unire i puntini di un famoso gioco che si faceva da ragazzi quando, scorrendo la matita nei vari segmenti, pian piano si delineava una forma, prima vagamente percepibile, poi sempre più evidente. Un po' come faceva Canova che, traguardando i chiodini in bronzo applicati sul modello in gesso, dava vita alle sue grandi opere scolpendo un inerte blocco di marmo. Giancarlo Cunial è nato a Possagno nel 1959. Laureato in filosofia all'università di Padova, è stato sindaco del suo comune, docente di storia e filosofia all'Istituto Cavanis-Canova di Possagno e collaboratore alla direzione del Museo Canova di Possagno. Oltre a diversi scritti di storia e tradizioni locali, è autore di alcuni saggi sulla vita e le opere di Antonio Canova, tra cui la Guida della Gipsoteca Canoviana. È autore del romanzo storico La Crocerossina del Grappa. Nel 2022 pubblica la biografia su Antonio Canova, in occasione delle celebrazioni per il bicentenario della morte dell'artista (1822-2022).
Inizialmente può sembrare riservato, ma appena lo si sente raccontare la sua storia, ecco accendersi l'entusiasmo. Siamo a Possagno, davanti al Tempio del Canova, Cunial replica alle nostre domande raccontando il suo ultimo lavoro editoriale: Canova, le molte vite.
Come è nata la sua passione per Canova?
«Per una serie di circostanze. Non ho fatto alcun esame di storia dell'arte, semmai la mia formazione è quella dello storico medievale e moderno. Tuttavia, quelle statue della Gipsoteca che le suore dell'asilo e la maestra delle elementari non volevano farmi vedere da ragazzo perché ritenute scandalose, sono state per me una tentazione, diventata poi una folgorazione».
Ci parli della sua formazione scolastica.
«La mia famiglia è di origini contadine, nella mia casa di Possagno non c'era l'acqua potabile, non c'era il gabinetto e nemmeno un libro. È stato l'Istituto Cavanis, fondato dal fratello di Canova, a farmi maturare la passione per gli studi teorici: la storia, la logica, la lingua, la letteratura, il metodo scientifico, la filosofia. Ma anche mia madre Gigetta ha contribuito non poco a trasmettermi l'amore per lo studio, lei che fu costretta a fermarsi alla quinta elementare perché c'era bisogno delle sue braccia nelle campagne del conte Volpi».
E in seguito sono proseguiti gli studi?
«Terminato il liceo, dissi a mio padre che mi sarei iscritto a filosofia. Mi guardò spaesato «e cosa diventi con questa filosofia?». Non capiva, non poteva. Eppure, mi sostenne, mi pagò le tasse universitarie ed era orgoglioso che in tutta la mia parentela ci fosse finalmente qualcuno che avrebbero chiamato professore. Ho respirato per anni in famiglia la voglia di emergere, il desiderio de cavarse fora».
Torniamo alla figura di Canova. Come si è svolto il progressivo avvicinamento con l'artista?
«Entrai in Gipsoteca per la prima volta grazie a padre Bruno Consani, insegnante e pittore. Durante il liceo fu padre Attilio Collotto ad introdurmi alle teorie di Winckelmann e di Mengs. Mi fece capire la tecnica della forma, la differenza tra la scultura del tórre, di Michelangelo e quella del mettere di Canova. Quando diventai assessore alla cultura, il conservatore della Gipsoteca, Settimo Manera, mi suggerì di scrivere una guida del museo perché l'ultima di Elena Bassi del 1972 era esaurita. Fu l'inizio delle mie prime pubblicazioni canoviane. Elena Bassi fu un'importante docente all'Accademia di Venezia che volli nominare cittadina onoraria quando diventai sindaco di Possagno».
Possagno, paese tradizionalmente legato all'alpeggio sul Monte Grappa. Non ha mai pensato alla cultura rurale?
«Ho sempre coltivato la passione per le tradizioni, la lingua, la storia locale. In paese conoscevo diversi studiosi, ma il mio vero maestro della civiltà rustica asolana fu Giovanbattista Cunial che tutti chiamavamo el barba Tita, classe 1889. Mi insegnò a bere caffè moro col vin clinto, mi accompagnò per le malghe del Monte Grappa, mi parlava delle sue campagne di Libia, dell'Isonzo, di Grecia e di Bosnia. Alla sera mi addormentava con i racconti del Mazarol, di Giovanìn senza paura, del Bisson gaét e delle Anguane. Mi trasmise proverbi, filastrocche, mi insegnò, accanto ad un sano e antico campanilismo delle borgate tra la Brenta e la Piava, che panni da Cavas, vin da Fietta, putte da Possagn e fen da Monfun no fa par nessun.
Trent'anni fa lei presentava la sua prima guida su Canova, oggi un nuovo libro. Non c'è il rischio di ripetersi?
«Nel 1992 nascevano i miei primi testi sulla Gipsoteca e sul Tempio. Oggi, nel bicentenario canoviano esce una biografia dell'artista, Canova, le molte vite. Ma stavolta la prospettiva è diversa e più ampia. Perché Canova non è stato solo il più grande scultore neoclassico: ha vissuto intensamente anche la vita del filantropo, quella del diplomatico, dell'accademico, dello scrittore. Ho voluto approfondire un Canova uomo più che artista».
Canova dalle mille sfaccettature quindi. Come si calerebbe il celebre artista nell'età contemporanea?
«Nel 1812 a Canova venne commissionata una statua dal russo Rumjancev, a dispetto dell'invasione della Russia che Napoleone stava attuando in quel periodo. Mi piace ricordare che quella stessa statua, che simboleggia la pace, venne regalata alcuni anni fa dai russi all'Ucraina. Forse, oggi, Canova continuerebbe a fissare nel marmo il valore della pace».

 

Ultimo aggiornamento: 12:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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