Il nuovo "Padre nostro" in chiesa secondo il laico Cibotto e don Bernardino

Giovedì 3 Dicembre 2020 di Ivan Malfatto
Gian Antonio Cibotto davanti all'antica pieve di Santa Giustina a Monselice con l'immancabile sigaro
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ROVIGO - «Non sarà un cataclisma, non sarà la fine del mondo, eppure intorno al Duemila - anno più, anno meno - dovremo aspettarci una cosa del genere: reimparare da capo le preghiere (...) Cambia, in parte, il “Padre nostro”».
Lo scriveva Roberto Baretta nel 1997. Siamo a fine 2020. Di anni ne sono serviti una ventina in più, si sa i tempi della Chiesa sono... biblici, ma il cambiamento è avvenuto. Da domenica 29 novembre, prima di Avvento, il “Padre nostro” non è più lo stesso. Al posto di “Non c’indurre in tentazione” i fedeli andati a messa hanno recitato “Non abbandonarci alla tentazione”. E hanno aggiunto un anche a “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È una delle tre variazioni al rito liturgico decise dai vertici ecclesiali. Sono partite domenica dalle diocesi del Triveneto, più qualche altra. Entro aprile saranno adottate in tutta Italia.
Il cambiamento della preghiera era già stato analizzato in quel 1997 da Gian Antonio Cibotto e don Bernardino Merlo in “Il padre nostro ieri e oggi” (Neri Pozza, pp. 120). Un libricino precursore dei tempi. Sintesi dello spirito laico dello scrittore e della preparazione teologica dell’uomo di fede. Apprezzabile anche da chi in chiesa non ci va più (o non così spesso), ma che la preghiera più importante, imparata da piccolo al catechismo, continua a recitarla a memoria. Nella ristampa delle opere di Cibotto, annunciata dalla casa editrice Nave di Teseo della sua “pupilla” Elisabetta Sgarbi, anche questa forse merita attenzione.
La scrittore veneto, morto a 92 anni nel 2017, nel suo gustoso racconto d’introduzione parla proprio dell’infanzia, negli anni Trenta. Fra una serie di esercizi spirituali impostigli dal papà in quinta elementare e le esercitazioni di latino al tempi del ginnasio, Cibotto rivela: «Il “Pater noster” è divenuto oggetto di analisi frequenti. Che fra impacci e timori ad un certo punto mi hanno visto sollevare nell’animo forti dubbi circa l’attendibilità del dettato evangelico di Matteo che all’inizio e nel finale sciorina tre imperativi». Il terzo è proprio “Non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male”.
Il libro partendo da qui propone il dibattito suscitato a inizio 1997 dall’articolo di Baretta (citato in apertura del pezzo) sul quotidiano dei vescovi “Avvenire”, dal titolo “Il nuovo Padre nostro”. Annuncia le conclusioni di una revisione della bibbia voluta dalla Conferenza episcopale italiana (Cei). Una di esse riguarda il passo chiave della preghiera. Nella traduzione dal latino del Vangelo di Matteo giunta fino a noi il senso è: Dio induce in tentazione gli uomini. Fin dai Padri della chiesa del III secolo, invece, un filone del pensiero aderente alla traduzione greca, ritiene che non possa essere Dio a indurre in tentazione l’uomo. Differenza non da poco. Da qui il cambio in “Non abbandonarci alla tentazione”.
«Tradurre è cimentarsi a non tradire il testo - scrive con arguzia don Bernardino, anch’egli deceduto, a 70 anni nel 2008 - Talora può avvenire come per la costruzione delle antiche cattedrali: le Diable aussi porte pierre! (il diavolo porta le pietre, ndr)». Il libro a cura di Cibotto e Merlo sviscera l’intera questione, riportando anche gli articoli protagonisti del dibattito, scritti da Claudio Magris, Guido Ceronetti, Emanuele Severino, Eugenio Scalfari, mons. Ersilio Tonini, Sergio Quinzio e altre autorevoli firme. Confronta i testi del “Padre nostro” dall’aramaico al greco, dal latino alle versioni italiane. Riporta le modifiche proposte della Cei, 7 parole su 56, poi solo in parte adottate. Traccia un percorso religioso, liturgico e culturale arrivato fino ad oggi. Prima domenica d’Avvento 2020. Dove, fra le limitazioni dei posti in chiesa e la comunione fatta tra i banchi a causa del Covid, i fedeli si sono trovati a recitare il nuovo “Padre nostro”.
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Ultimo aggiornamento: 21:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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