Milo Manara e le donne: «In classe ero l'unico maschio con 16 femmine»

Domenica 9 Aprile 2017 di Edoardo Pittalis
Milo Manara 72 anni
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"Brigitte Bardot ha voluto che fossi io a disegnare il monumento che le hanno fatto a Saint Tropez davanti al Museo del Cinema. Lo inaugureranno tra poco”. 
Unico maschio in classe tra 16 alunne, Milo Manara pensava che sarebbe diventato il più famoso disegnatore di donne?
“Frequentavo a Verona il liceo artistico, ero il solo maschio anche quando arrivava la modella per il disegno di figura. Una volta si era ammalata una compagna che viveva in un convitto di suore, siamo andati a trovarla ma i maschi non erano ammessi, allora ogni alunna ha portato un capo di abbigliamento, mi hanno vestito da donna e sono entrato. Ma il disegno era la mia passione precedente, avrei continuato a disegnare le donne anche se fossi stato in una classe maschile”.
Come è nata questa passione?
“Eravamo sei fratelli, figli di due impiegati statali, un segretario comunale e una maestra. Ogni anno in un posto nuovo, in una scuola diversa. Santa Lucia e Babbo Natale ci portavano più libri che giocattoli. Preferivo i volumi illustrati, ci passavo sopra molte ore, ho imparato prima a disegnare che a leggere e scrivere. Mi dovevano cacciare di casa per farmi giocare con gli altri bambini. A pallone ero una schiappa, mi mettevano sempre in porta. Preferivo giocare a indiani e cow-boy”.
Quando il fumetto è diventato la sua professione?
“Negli Anni Sessanta il fumetto era la porta d’accesso al professionismo. Ho avuto la fortuna di lavorare con sceneggiatori che spesso venivano dal cinema: era tramontato il peplum, era in crisi il western all’italiana, così gli sceneggiatori avevano dirottato la creatività sul fumetto. Il bravissimo Silverio Pisu, figlio di Mario e nipote di Raffaele, due grandi attori, ha creduto nel mio talento e ha creato per me un personaggio. Con Alfredo Castelli, ancora oggi una colonna della Bonelli, dal fumetto d’autore sono entrato nel fumetto seriale”.
Poi è arrivato Hugo Pratt.
“Era soprattutto un grande amico, un maestro di vita, di pensiero e di lavoro. Tra di noi parlavamo in veneto. Era senza patente e aveva sempre bisogno di un autista, così lo portai in giro, da Lisbona a Parigi, da Barcellona al Belgio. Andavamo sempre insieme ed erano viaggi lenti nei quali si parlava anche di fumetto, ma soprattutto di donne. L’ho chiamato Maestro, mai Hugo: per rispetto”. “Sono l’unico disegnatore per cui ha scritto sceneggiature. Tutte a mano, in corsivo, con una penna biro, su fogli volanti. Era rigoroso sulle divise militari, preferiva disegnarle piuttosto che descriverle. Arricchite dai disegni erano pagine molto preziose. Stupidamente io non le ho conservate, facevo fotocopie per non sciupare le pagine. Le ha conservate, però, l’editore e ha fatto un affare”.
E le sceneggiature di Federico Fellini?
“Anche lui era piuttosto informale, disegnava delle storyboard con dentro le battute scritte a mano nei fumetti. Per la versione a fumetti gli avevo dato un quaderno diviso in strisce che lui riempiva”.
Cosa le manca dei due grandi amici?
“Il fatto che a Fellini potevi chiedere consigli su tutto. Di Pratt mi mancano i viaggi, la sua compagnia, il vederlo disegnare, specialmente quando faceva acquarelli. Gli anni sono passati, se penso che io sono più vecchio adesso di Pratt quando è morto, mi fa impressione. Sto arrivando all’età di Fellini che è morto a 73 anni. Ci penso spesso”.
Il suo rapporto col mondo dello spettacolo? 
“Ho disegnato manifesti per un film di Altman. L’incontro con Woody Allen è stato indimenticabile per via delle rispettive timidezze. Era con la sua band al teatro Goldoni di Venezia, suonava per raccogliere fondi per la Fenice. A me avevano chiesto di illustrare il programma di scena che accompagnava Allen in tutti i concerti italiani. Ho la copia autografata, lui era più imbarazzato di me. Ho lavorato per Bresson, c’era un progetto di Polanski ma si sono tirati indietro i finanziatori americani. Ho fatto la copertina per un album di Lucio Dalla, ho disegnato copertine di dischi per Cocciante e molti altri, l’ultima per Biagio Antonacci”.
Come mai il Veneto è una terra di grandi artisti del fumetto?
“Probabilmente per merito di due giganti, Hugo Pratt e Dino Battaglia. Battaglia era più disegnatore che autore, Pratt scriveva le sue storie e aveva un tipo di disegno agli antipodi. Si rispettavano molto, si frequentavano poco. Ma quando Battaglia è stato male, Hugo Pratt andava sempre a trovarlo in ospedale. Battaglia lavorava anche in coppia, Pratt era un solitario anche per il suo continuo spostarsi. Probabilmente è dovuto a questi due giganti se nel Veneto sono cresciuti grandi disegnatori: Paolo Ongaro, Lele Vianello, Leone Frollo, Stelio Fenzo”.
È stato accusato per oltraggio al pudore…
“Ma il comune senso del pudore è fatto per essere trasgredito, anche perché è basato sull’ipocrisia”. 
E la satira?
“È uno degli strumenti per mettere alla berlina i vizi dei potenti e del potere. E’ uno dei momenti in cui più alta si manifesta la libertà del mondo. La libertà di un popolo si misura dalla sua satira. La Francia in particolare ha radici antiche per la satira e per questo ha subito attentati integralisti di chi voleva porre limitazioni. A Parigi nella strage al giornale “Charlie Hebdo” hanno ucciso anche il mio amico Wolinski che aveva fatto conoscere i miei disegni in Francia. Anche a lui piacevano le donne: erano il suo soggetto preferito. Con lui se n’è andato un pezzo della mia vita e un pezzo più grande della libertà di tutti noi”.
Ultimo aggiornamento: 10 Aprile, 08:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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