Milena Gabanelli: «Un film e il suicidio di un regista: ecco come sono diventata giornalista in tv»

La pellicola si chiamava «La maman et la putain», «La mamma e la puttana». «L’autore, Jean Eustache, era uno dei grandi esponenti della «nouvelle vague»

Domenica 19 Marzo 2023
Milena Gabanelli: «Un film e il suicidio di un regista: ecco come sono diventata giornalista in tv»

Se Milena Gabanelli è diventata una delle giornaliste televisive più conosciute d'Italia lo si deve a un film del 1973. E soprattutto al suo regista, Jean Eustache.

La pellicola si chiamava «La maman et la putain», «La mamma e la puttana». «L’autore, Jean Eustache, era uno dei grandi esponenti della «nouvelle vague» - racconta lei stessa in un articolo sul Corriere della Sera - Un uomo complesso, tormentato, molto spesso diluiva il suo genio nell’alcool. Un uomo dalla sensibilità autodistruttiva, che decise di ritirare dal mercato le bobine del suo più grande film «…perché la mia compagna dopo averlo visto si è suicidata…», mi confidò. Alla fine si suicidò anche lui, a soli 42 anni. Ho raccontato raramente questa storia, per pudore, o anche un senso di colpa, perché la mia carriera televisiva inizia con la sua disgrazia.

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Il film 

Bologna, aprile 1980.  A 25 anni, la Gabanelli - neolaureata al Dams - fondò una cooperativa che organizzava rassegne cinematografiche con fondi comunali. Lei riuscì  a portare quel film, «La maman et la putain», osannato dalla critica avanguardista e acclamato dai cinefili, ma sparito dalle sale. Le bobine arrivarono alla Cineteca di Bologna ma il grande giorno Eustache, sotto l’effetto di molti, troppi bicchieri, si fiondò dal proiezionista e lo fece sbobinare. «Il pubblico era ammutolito, io disperata - racconta la Gabanelli - Il giorno dopo, con gli occhi gonfi di una notte passata a piangere, andai da lui in albergo furiosa: gli dissi che il suo c... di film poteva tenerselo se non voleva che venisse visto, che avevo lavorato tanto per niente, ed ero stata pure derisa. E lui, a mente sobria, capì. Quella sera (ultimo giorno di rassegna) acconsentì alla proiezione, ma a condizione di fargli compagnia fuori dalla sala.  Dopo un’ora e mezza mi alzai: «Adesso vado a vedermi almeno la fine del film, tu fai quello che vuoi». Mi seguì, si andò a sedere in fondo alla sala, e cominciò a singhiozzare, mentre scorrevano le immagini di quel triangolo amoroso. Lui stesso infatti aveva lasciato la sua compagna per frequentare l’attrice Françoise Lebrune, la musa che in quel dramma onirico interpretava Veronika, oggetto del desiderio e pietra dello scandalo. E lei, l’ex compagna, per quel film si era uccisa. Fu così straziante che del film non ricordo nulla.

 

Il suicidio del regista

A novembre dell’anno dopo si sparò al cuore. La notizia non mi sorprese, ma mi sentivo in dovere di rendergli omaggio. Da quella rassegna si era avanzato un piccolo credito, credo 500 mila lire, e con la cooperativa decidemmo di produrre un cortometraggio in bianco e nero di un quarto d’ora, in 16 millimetri. «A Jean Eustache», si chiamava. La Gabanelli lo propose senza successo al Festival di Venezia, poi alla sede Rai di Bologna. Organizzò una visione. Il film gli piacque e decise di comprarlo per 30 mila lire. A Venezia (1982) passò la selezione e fu proiettato nella sezione Officina. Era l’ultimo intervento pubblico di Jean Eustache, e il suo era un nome che per i francesi significava qualcosa. Il giorno dopo Le Monde le dedicò 20 righe. «Andai a sventolare quel trafiletto al direttore Ottaviano in segno di riconoscimento per l’aiuto che mi aveva dato - racconta ancora la Gabanelli -  E lui solare: «Perché non ci proponi qualcosa per Rai3 Regione?». Così nacque la sua storia in tv. 

Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 20:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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