Matilde Gioli: «A 16 anni ho rischiato di restare paraplegica per un incidente in piscina. I figli? Non vedo l'ora»

L’attrice di Doc e Il Capitale umano: «Io in analisi da quando avevo 16 anni. La mia vita è cambiata scoprendo i cavalli. Mi hanno reso più serena e meno impulsiva».

Domenica 28 Gennaio 2024 di Andrea Scarpa
Matilde Gioli: «A 16 anni ho rischiato di restare paraplegica per un incidente in piscina. I figli? Non vedo l'ora»

È cavaliere della Repubblica anche lei?
«Sì.

Dal 2021». 

Scusi, ma perché?
«È stata una sorpresa anche per me. Quando l’ho saputo sono rimasta a bocca aperta per la felicità, ma anche per l’incredulità. Mi hanno detto che per l’8 marzo il presidente voleva dare un riconoscimento a una scrittrice, una poetessa e un’attrice, si è informato su di me, e simbolicamente mi ha concesso questo onore. Diciamo che quell’anno il mondo dei cavalli mi ha cambiato la vita».

Matilde Gioli, 34 anni, milanese, da due romana d’adozione («Ho preso anche lo scooter, ormai è la mia città»), protagonista su Rai1 di Doc, risponde dall’auto che la porta a casa dal set di Dedalus, che sta girando con Gianmarco Tognazzi nel castello Brancaccio di San Gregorio da Sassola, alle porte della Capitale. L’8 febbraio, invece, uscirà Runner di Nicola Barnaba, film d’azione in cui recita con Francesco Montanari.

Cosa è successo con i cavalli?
«Grazie all’incontro con questi animali straordinari negli ultimi due anni ho fatto un piccolo salto verso la maturità: ora sono un po’ più coraggiosa e serena. Sono meno impulsiva e superficiale, più dentro le cose». 

Che avrà fatto mai?
«Diciamo che il mio super entusiasmo, quello che mi ha sempre fatto lanciare a capofitto nelle cose e nei rapporti, non mi ha sempre fatto bene. Mi piace dare subito confidenza, amo stare in mezzo alle persone, mi interesso agli altri: questo spesso crea problemi». 

È stata spesso fraintesa?
«Sì. Una donna così aperta, che parla con tutti, a volte viene vista male. Passa per un’invadente e una facilona. Comunque sono tranquilla: posso anche chiudere per un attimo quella ciabatta della mia bocca (ride, ndr)...». 

 

Nel suo ambiente siete in tanti così?
«Non solo gli attori, però. Nel mondo dello spettacolo in tutti i settori c’è una straordinaria concentrazione di ego che vogliono emergere. Però la realtà è che a me piace la gente, non voglio essere sempre al centro dell’attenzione».

Ha preso un cavallo? 
«Sì, Nadador. È il mio bimbo, che a volte umanizzo e vizio un po’ troppo. Non esagero: il rapporto con questi animali mi ha dato un nuovo equilibrio».

Il fidanzato istruttore di equitazione ce l’ha sempre?
«Certo. Va tutto bene (si chiama Alessandro Marcucci, 36 anni, romano, ndr).

Che attrice sta diventando?
«Più consapevole. Sono stata per anni nella comfort zone dell’attrice per caso (Virzì la fermò per strada per farla recitare nel suo Il capitale umano del 2013, ndr), adesso ho preso coraggio e posso dire che questo è il mio lavoro, ho voglia di imparare e mettermi in gioco cercando di dare emozioni. Anche veicolando temi seri, perché no?». 

Tipo?
«Tutti quelli che possono scuotere un po’ le menti».

Il suo chiodo fisso qual è?
«La gentilezza. Andare incontro alla vita con il sorriso».

Quand’è che non le riesce?
«Quando mi incazzo? Diciamo che la rabbia l’ho sempre repressa. Non sono mai riuscita a tirarla fuori nel momento giusto. Quando è successo, mi sono spaventata. Non mi trattengo con i prepotenti. È più forte di me».

Ha mai picchiato?
«No. Ma se venissi sollecitata non so cosa potrei fare». 

Mai avuto relazioni amorose violente?
«Mai. Però qualche piccola violenza psicologica l’ho subita anch’io, magari da qualche fidanzato più grande che ha fatto un po’ il gradasso giocando con le mie debolezze. Come donna, oggi, parlarne aiuta. Dobbiamo sentirci libere di affrontare ogni questione spinosa, anche quella delle mestruazioni».

Sul tema ha appena girato alcuni spot con  Giulia Stabile (ballerina vincitrice di “Amici” nel 2021, ndr): la parità passa anche da queste cose?
«Certo. È una cosa naturale che va normalizzata, non c’è nulla di cui vergognarsi. È un tabù che dà ancora fastidio a tanti».

In “Runner” il suo personaggio ha una relazione omosessuale: nella scena del bacio avete fatto da sole o sul set c’era un “intimacy coordinator”, la nuova figura professionale che aiuta gli attori ad affrontare scene intime?
«C’era. Io e l’altra attrice, la ceca Hana Vagnerova, eravamo tranquille e siamo riuscite a esprimere tutta l’intimità del loro rapporto. Buona la prima».

Nessun imbarazzo?
«Era la prima volta in assoluto che baciavo una donna, sono eterosessuale e non sono mai stata attratta dal mio stesso sesso, però siamo riuscite a farla bene, mi sembra».

Dove vuole arrivare?
«Non è che abbia un’ambizione sfrenata, però mi piacerebbe continuare a lavorare e migliorare. Vivo il presente, e so bene che tutto potrebbe finire».

Un piano B?
«Ho una laurea in filosofia, magari lavorare nel mondo delle risorse umane, o fare una vita più campestre con i cavalli, gestire un alberghetto o un bed and breakfast. Non lo so». 

Il sogno più urgente da realizzare qual è?
«Ho un forte istinto materno. Fare un figlio».

Ed è più fiera di cosa?
«I primi anni di questa carriera li ho vissuti nascondendomi dietro al fatto che non l’avessi cercata, peccando sicuramente di pigrizia. Avrei potuto fare di più, ma tenevo il freno tirato per paura di essere patetica. Sono fiera di averla superata questa mia resistenza. Potrei fare anche la commedia, oltre al drammatico, che forse mi viene facile per le esperienze fatte fin qui».

Che vuol dire?
«Sono una brava persona dalle tante ombre, a volte anche un po’ inquietanti». 

Quella che la spaventa di più?
«Non l’ho detto neanche al mio analista, non ho ancora il coraggio di parlarne».

Cosa l’ha spinta a fissare il primo appuntamento con l’analista?
«A 16 anni ho avuto un brutto incidente. In un Aquafan di Londra, dov’ero per una vacanza studio, mi sono tuffata in piscina e subito dopo un ragazzo da cinque metri ha fatto altrettanto ed è finito sulla mia schiena. Ho rischiato di morire perché avendomi schiacciato il diaframma ero diventata cianotica, e se non mi avessero intubato in tempo sarei morta soffocata. Per dieci giorni le gambe rimasero insensibili: il trauma aveva pizzicato il midollo. I medici inglesi dissero ai miei di prepararsi a un’eventuale prospettiva di paraplegia. Poi mi sono ripresa, ma per anni ho vissuto in una prigione di cristallo: attenta a tutto. L’analista mi aiuta da allora».

Ho letto che nel 2013 ha perso suo padre.
«Sì, se n’è andato di tumore nel giro di un anno. Eravamo una famiglia perfetta: mamma, papà e noi quattro figli, due maschi e due femmine». 

La prima cosa che vorrebbe dirgli qual è?
«Come stai? È troppo tempo che non ti vedo». 

Siete riusciti a parlare un po’?
«Avevo 24 anni, stavo girando il mio primo film, ma ce l’abbiamo fatta. Certo, adesso, con più strumenti avrei tante altre cose da dirgli. Per fortuna, ho dei ricordi bellissimi».

Chi deve ringraziare per primo? 
«La mia squadra di nuoto sincronizzato, sport che ho praticato dopo l’incidente anche a livello agonistico. Mi ha fatto crescere e mi ha ridato fiducia in me stessa e negli altri». 

Un giorno all’improvviso succede qualcosa e si capisce che...
«Che non aveva senso perdere tempo. Sono viva, c’è domani. È tutto a posto». 

Ultimo aggiornamento: 11:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci