Lino Toffolo compie i primi 80 anni:
«L'imbriago ha nobilitato i veneti»

Lunedì 29 Dicembre 2014 di Adriano Favaro
Lino Toffolo
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VENEZIA - Lino Toffolo compie martedì 80 anni. È nato a Murano il 30 dicembre 1934. Grande esordio nel 1963 al Derby di Milano con Enzo Jannacci e Franco Nebbia: il cabaret italiano diventa moderno e Toffolo sdogana la lingua veneziana in tutto il Paese. Cantante, paroliere, regista. Oltre una ventina di film, molti con grandi registi e a fianco di attori come Gassman, Celentano. Buzzanca, Boldi, Tognazzi, Silva Koscina e Barbara Bouchet, Ursula Andress, Senta Berger. Tanta tv come cantante ("Jonny Bassotto" per esempio) e con personaggi come Noschese, Villaggio, Banfi, Cochi e Renato, Proietti. Regista, uomo di palcoscenico ha scritto opere teatrali, fa il produttore e continua a recitare. Tre figli, sposato dal 1961. Collabora con Il Gazzettino dagli anni '80.



Toffolo, ma si rende conto di cosa ha inflitto alla mia generazione, quelli nati negli anni '50 e dopo? Per decenni abbiamo dovuto spiegare a mezza Italia che non eravamo "quelli ubriachi", come lei dipingeva invece i veneti.

«Ma che dice? Prima di me c'erano due tipi solo di veneti: i "carabinieri-mona" o le "servette". Li ho nobilitati col terzo ruolo, "alcolizzati"».



Facile proporre l'"imbriago"?

«Si diceva che i veneti bevessero, no? Ma ho scelto l'imbriago perché mi permetteva di cambiare ragionamento senza spiegarne i motivi. L'altro modo era il matto: però, semmai, lo faceva Enzo Jannacci (che non parlava). I matti poi ti condizionano. L'ubriaco, un tempo, era più filosofo però».



Quanto durava lo sketch dell'ubriaco?

«I miei lavori tutti, finivano con l'imbriago. Anche mezz'ora filata solo con quel tema: è stato il mio successo popolare. Solo dopo sono diventato el comico».



Dica, lei col vino…?

«Io non bevo, quasi. Un'ombra mi rovina una giornata. Vado a tè».



Ma l'associano a fiumi di alcol.

«Sbagliato. Una sera a Udine mi chiesero di aiutare un oste a comprare ettolitri di vino: ho scelto, assaggiando due bicchieri: questo! Ma non capivo, davvero…»



Quando entra Toffolo nel mondo dello spettacolo?

«Papà era un bravo intrattenitore. Mi chiese: vuoi provare il violino? Ho fatto fino al 5° anno. Ma non avevo sogni, solo interesse naturale per lo spettacolo. Recitavo nel patronato di Murano».



Scuole?

«Al ginnasio, al Foscarini, ho mollato: facevo fatica a starghe drio al cambiamento di ore in classe. Mi abituavo al latino e scattava subito matematica: impossibile. Basta così ho detto: mio padre avrà pensato che sarei passato a lavorare con lui nella bottega di vetri a Venezia».



Non ha mollato i libri però…

«Ho scoperto da solo Kafka a 14 anni. E sapevo disegnare bene: portavano in pellegrinaggio le classi a vedere i miei lavori sulla lavagna. Lì c'era tutta la mia natura di presuntuoso: fare essendo convinto di aver capito. E da adolescente, dicevo che i registi non capivano niente del teatro».



Nervosetto o che?

«Sono fatto così: credo di capire tutto, immediatamente. Anche a teatro: mi va bene la prima sera, la seconda sono già stufo. Me lo dicevano sempre anche a Milano».



Prima di Milano?

«Facevo canzoni veneziane a metà anni '50. Già allora dicevano che la canzone veneziana non aveva più senso. Quando ho scoperto che i poeti non sapevano scrivere parole per le canzoni l'ho fatto io. Ma non avevo il problema di vendere».



Il successo?

«Comincio con la compagnia 'Vede e Provvede', spettacoli benefici in galera, ospedale e così via. Sa, ero anche "cialtrone, ignorante, presuntuoso ma molto fortunato". Così nei varietà da 10 numeri mi chiamavano dopo il quinto; e le mie canzoni funzionavano. Poi mi scoprono Cesca e Maffioli della Radio Rai del Veneto . Comincio col programma "Liston", autunno 1959».



Sua la canzone "sensa vin nero no se pol star…"?

«L'ho cantata per un mese all'Olimpia Hall, a Londra, tradotta: dopo le prime parole gli inglesi ridevano già. Ma devo davvero tutto allo sciopero del "Coro dei gondolieri" che non canta (volevano più soldi) al Malibran: li sostituisco. Mi sentono Jenny Luna e Nino Rosso; e il direttore orchestra Rai Cergoli mi chiede di incidere la mia canzone. Tre dischi e poi la tv: pubblicità con Alberto Lupo (un mito allora) a Carosello».



Lupo la porta a Milano?

«Mi propone il Derby, un localino dove parlavo in veneziano e "volevo" che capissero. In quel tempo avevo anche un laboratorio di decorazione di vetri. Risultato: metà settimana a decorare vetri e metà al cabaret a Milano (e non mollo la registrazione Rai a Venezia, il sabato). Notti intere senza dormire, ma mi divertivo, come a giocare a calcio».



Il cinema comincia…

«Da Lina Wertmüller. Con lei (che non firma) facciamo "Chimera" con Gianni Morandi. Lina mi faceva vedere tutto il girato e voleva il mio parere: credeva fossi Orson Welles, ma io non capivo il linguaggio filmico. Ma imparavo; anche da gente come Franco Rosi, per esempio».



La tv?

«Me la propone Gaber che vuole "l'imbriago" in Rai. Davanti ai testi pronti per me di Chiozzo, Simonetta e un altro dico: non so recitare; posso fare solo le cose che "dico io". Dopo la prima puntata il direttore della Rai è entusiasta. Ma alla quinta puntata mi rendo conto che ho esaurito tutto il repertorio: "Non so andare avanti" confesso. Mi propongono: "Ripeti la prima". Fatto. Non se ne è accorto nessuno».



"Brancaleone alle crociate"?

«Prima c'era stato un western con Villaggio, Oreste Lionello Montesano e io. Un "filmetto", anche se hanno guadagnato ugualmente. Brancaleone? Tre mesi di lavoro, uno su un'oasi in Algeria. Grande esperienza e Monicelli mentre curiosavo sul suo lavoro mi dice: "'anvedi questi vengono a Roma, guardano e poi fanno il tuo mestiere!».



Brancaleone fu mitico anche per la lingua inventata.

«Io dicevo cose brevissime. Gassman invece dopo 20 minuti sapeva due pagine a memoria di quella lingua nuova: un fenomeno. Io per "recitare" devo essere spontaneo. Credo cioè che le sensazioni si debbano avere dentro».



Lei ha grande attenzione per la lingua.

«Che è sentimento del popolo».



Anche Lino Toffolo scompare da cinema e tv.

«Perché per 30 anni mi hanno proposto "copioni-troiate". No, dicevo. Ho sempre avuto la sicurezza dentro: credevo nei giorni che arrivavano, facendo sempre le cose che mi piacevano; bastava che mi lasciassero giocare. Ho sempre fatto così per tutta la vita e mi hanno pagato. Se mi dicono che c'è da lavorare…».



È tornato alla grande in tv, di recente anche. Ma per lei nessuna compagnia di teatro.

«Mai, duravano otto mesi. Me lo propose anche Strehler, voleva che recitassi nella Tempesta di Shakespeare: Roma, Milano e gli Stati Uniti, non capiva che non potevo sopportare di fare tutte le sere la stessa cosa».



Eppure c'è stato chi - mesi fa - voleva Toffolo direttore dello Stabile del Veneto".

«Migliaia di firme su Facebook. Grazie, ma non farò mai l'impiegato».



Continua a predicare che non si devono sovvenzionare i teatri.

«Dico che per 5 anni nessuno dovrebbe essere finanziato con soldi pubblici, vince chi resta in piedi da solo. Invece i teatri sono ammortizzatori elettorali. Si infastidisce qualcuno? Non importa. Io non andrò mai in pensione. Ho recitato come andare a giocare a calcio: sempre in partita. Ho giocato fino a 65 anni, hanno mollato le ginocchia, non io».



"Lei chi è?", suo recente lavoro teatrale sull'Alzheimer, delicato…

«E tragicomico. L'Alzheimer, come gli ubriachi, permette di cambiare discorso in fretta. A teatro si comincia col 2° atto, per esempio».



Che cosa le piacerebbe?

«Fare ancora un po' il decoratore di vetri».



Lei con donne affascinanti nei film erotici anni '70. Quanta invidia...

«Ascolti: Gatullo - importante pasticciere di Milano - era innamorato di Sylva Koscina. In "Beati i ricchi" (con Villaggio) ho girato per due giorni a letto con la Koscina: lei svestita. Quando l'ho detto a Gatullo ha reagito con un urlo e fremiti memorabili. Ma al cinema si lavora, l'eros è altra cosa».



Devo chiederglielo: ce l'ha un hobby?

«Sono fortunato a fare quello che mi piace».



Rifiuti?

«Mai fatto le cose che non mi piacevano: ho detto di no anche a qualche grande produttore e regista. C'era già pronto per un film negli Usa, tra i soggettisti anche Malerba. Niente, preferisco la mia famiglia a quel mondo».



Conflitti?

«Con tutte le produzioni; sempre. I set sono spaccato di vita, vita coatta per qualche mese; e fanno scegliere. Giravamo in Algeria e davo il mio cibo avanzato ai bimbi che aspettavano dietro la rete. Lei che avrebbe fatto? Ma poi hanno allontanato tutti i bimbi…»



Maestri?

«Ho tolto a chiunque la responsabilità di farlo, con me. Ho preso da tutti, mi impregnavo delle cose che vedevo».



Adesso ha 80 anni. Come la mette con l'età?

«Bisogna sapere quello che si può fare ad ogni età; credo di averlo capito».



Rimpianti?

«Non avere 30 anni (scherzo…): non ne ho. Anzi, sa che quello che facevo e imparavo, senza capire, a 30-40 anni adesso mi torna utile?».



Le hanno chiesto di fare politica?

«Centro, destra e sinistra. Sempre detto no».



Vero che solo i giullari possono dire la verità?

«Al re sì! Ma quello li sceglie apposta, lascia fare. Se la dicono ai loro simili vengono bastonati».
Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 12:54

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