VENEZIA - Contro Ulisse. Contro perché fin dall'antichità è una figura ambigua. Ulisse stavolta non appare quello raccontato dalle letture e lezioni, scuole medie ai licei; ed è anzi (anche) vile, traditore, violento, inutilmente assassino. E la sua astuzia diventa costante ritrosia al confronto, politica si potrebbe dire. Questa è l'altra faccia della figura che l'Occidente ha invece associato all'intelligenza, astuzia, avventura. Stavolta sono padri, madri, figli dee e mortali, ad accusare l'essere dalle mille facce che appare di volta in volta, opportunista, sfuggente, vigliacco, altro che eroe da antologia.
Questa operazione è condotta da Monica Centanni - veneziana, archeologa, filologa classica, docente di lingua e letteratura greca allo Iuav e a Catania - nel libro Contro Ulisse.
Perché prendersela con uno così?
«Non ho inventato niente, tutto quello che scrivo dell'immagine negativa di Ulisse è presente già nelle tragedie greche del quinto secolo avanti Cristo. Nell'età arcaica, che vede diverse forme di eroismo, sono presenti Achille e Ulisse: ma Ulisse è proprio un'altra figura d'eroe. Non usa quasi le armi. Sfida in modo obliquo, prima con l'idea del Cavallo per entrare in Troia e poi, con Polifemo, e via di seguito».
Ulisse, una specie di carogna?
«Nelle tragedie del quinto secolo e nel libro le cito, per dimostrarlo Ulisse è sempre una figura negativa, quella del politico che trova soluzioni altre; e che diventa figura negativa nella slealtà, come nella tragedia Aiace. Però il mito nell'antichità non è mai definitivo, immobile: ci sono tanti Ulisse».
Ma non sarà sempre stato così.
«Dipende dai periodi. Il critico d'arte Aby Warburg diceva che ogni epoca ha la rinascita dell'antico che si merita; e che vuole, dico io. Ulisse ha detto e ha da dire qualcosa in un modo chiaro e luminoso fin dalla rinascita dantesca: dove è eroe della modernità, inquietudine, scoperta, avventura. Che usa una via diversa dallo scontro muscolare del campo: la metis, intelligenza».
E i greci antichi lo guardano un po' strano.
«All'inizio i nomi dell'eroismo sono diversi, ma i tempi cambiano e modificano l'immagine delle figure del mito. Io non dico che la mia sia la verità: è un'altra verità di Odisseo, in alcuni momenti della sua tradizione».
Giusta quindi la figura di Ulisse come quella del politico?
«Lui sublima il duello bruto per non scannarsi. È figura politica, della parola, della persuasione, come si legge nell'Oristea, una commedia greca. Ma non è da bollare solo come negativo; Ulisse è pieno di ombre e sfaccettature».
Vero che gli antichi greci non amavano combattere?
«Cominciamo col dire che tutti i testi antichi sono ferocemente antimilitaristi. In realtà la guerra è necessaria; ma sì, tutti sono renitenti alla leva. Quando entrano nel conflitto ci restano, ma lo stesso Achille e Odisseo non vogliono andarci».
Proprio così Ulisse? Infido e vigliacco in battaglia.
«Nell'Iliade scappa dal campo di battaglia e fa finta di non sentire il richiamo di Nestore in difficoltà. Non va, come Aiace a soccorrere il guerriero perché il suo campo non è quello della battaglia. È infido e sleale fin dalla partenza per Troia. E poi tradisce l'etica: il Cavallo è il Tradimento dell'epoca».
È anche un corruttore.
«Perché persuade l'adolescente Neottolemo -. siamo di fronte ad un rito di iniziazione di un ragazzo di 13 anni a compiere un gesto di inganno, prendendo l'arco di Filottete. Il giovane vive nel culto nel culto del padre, è totalmente vergine ad ogni esperienza di società. C'è perversione dell'aspetto educativo: corrotto da un uomo nel momento della formazione; come i bimbi guerrieri in Africa».
Ulisse poi tradisce
«L'amicizia con Aiace. La filia è uno dei valori arcaici: essere amici vale di più che essere parenti. Venir meno a questo patto è il tradimento più grande che si possa fare. Ulisse spezza il vincolo di elezione per avere le armi di Achille che invece toccavano all'amico».
Seduce e abbandona le donne.
«Nausicaa e Calipso sono due vicende differenti. In Calipso il tratto della seduzione è odorare di vita, per lei che è immortale. Lei, che non ha bisogno di niente, cede: Ulisse non cede invece e sta sette anni in un paradiso pensando a quel non simpatico personaggio che si trova in casa che si chiama Penelope. Quando Calipso dice: Non sarà mica più bella si tocca il punto più alto della poesia di Omero Poeta. Ulisse semmai seduce involontariamente, lui è a rischio di morte».
Nausicaa
«Ulisse ha un progetto: trovare una sponda e una nave. Seduce Nausicaa perché gli serve, perché gli insegni come andare a corte ed essere bene accolto. E in questo caso ricordiamoci che Ulisse è di fatto Atena: Atena è il nome mitico di Odisseo».
Alla fine il combattente-viaggiatore, fa strage di giovani a Itaca.
«Ha la sindrome del reduce del Vietnam quello che si vede nei film Apocalisse Now e Il Cacciatore, uno totalmente irrazionale. Domando a parte l'antipatia che ho del figlio complessato Telemaco, amico dei Proci - che fanno quei ragazzi? Vivono in una città in totale anarchia e aspettano che quella donna Penelope decida, ma non prendono il trono. La stanno rispettando anche se fanno qualche festa: ma è una cosa violenta se le consumano la dispensa? E perché Ulisse non dice: ciao sono tornato? Sostengo che non si passa indenni da una guerra, altrettanti di viaggio e un ritorno dall'Ade, gli Inferi. Si resta con lo sguardo del lupo e del reduce. Si vive in una realtà nuova, del rischio continuo».
Lei è anche contro Penelope.
«Penelope è uguale ad Ulisse, sospettosa che non riconosce il marito nemmeno dopo la strage dei Proci. Penelope è il contrario del cane Argo che sente l'odore del padrone e muore sfinito. È una che dopo vent'anni gli tende una trappola per vedere se lui si ricorda che il loro letto è messo su un tronco di olivo, inamovibile. Ma lei è Il Sospetto; degna sposa dell'anima nera e peggiore di Ulisse».