Levante e la depressione post-parto: «Ero fuori dal mondo, il mio compagno mi ha aiutato. Grazie a lui ho finito il disco»

La cantante che ha portato il suo brano a Sanremo: «Oggi se ripenso alla me stessa di un anno fa provo tenerezza. Ero in crisi".

Domenica 19 Febbraio 2023 di Mattia Marzi
Levante e la depressione post-parto: «Ero fuori dal mondo, il mio compagno mi ha aiutato. Grazie a lui ho finito il disco»

«È come se avessi dissotterrato la ragazza di Manuale distruzione, che credevo perduta, e contemporaneamente mi fossi vista nel domani», dice lei, alludendo al primo album, quello del tormentone Alfonso, la hit che dieci anni fa la rese una promessa del nuovo cantautorato italiano. Per ritrovare la freschezza e la grinta degli esordi Levante, vero nome Claudia Lagona, doveva passare per una crisi profonda: quella legata alla depressione post-partum di cui ha sofferto un anno fa dopo la nascita della figlia Alma Futura, frutto dell'unione con il compagno Pietro Palumbo («Non lavora nella musica: fa l'avvocato. È il miglior genitore del mondo. Se ho terminato il disco è stato grazie a lui», dice), che ha ispirato il nuovo album Opera futura, uscito lo scorso venerdì dopo la partecipazione al Festival di Sanremo con Vivo.

Domani lo presenterà a Roma, incontrando i fan alla Discoteca Laziale. «Oggi se ripenso alla me stessa di un anno fa provo tenerezza. Ero in crisi. Dicevo: non ce la farò a chiudere il disco», spiega.

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Chi l'ha aiutata?
«Un gruppo supporto psicologico me l'ha dato il mio team: dal mio produttore Antonio Filippelli ai discografici, passando per i musicisti».


E le è bastato?
«Naturalmente no: una depressione non se ne va con uno schiocco delle dita. Ero fuori dal mondo. Anche la scrittura è stata una forma di terapia: volevo raccontare quel momento che stavo vivendo, anche a costo di risultare pesante».


Che significato ha il cigno che stringe sulla copertina?
«Ho descritto i sentimenti in maniera più carnale: volevo inserire nella copertina un elemento animale. Inizialmente avevo pensato alla tigre».


Una tigre?
«Sì. Ma portarne una sul set sarebbe stato troppo complicato».


E dalla tigre al cigno come ci è arrivata?
«Mi sono ricordata di una frase di Emily Dickinson che mi aveva colpito: "La speranza è quella cosa piumata". Di speranza ce n'è tanta, in questo disco. Così ho pensato al cigno: è un animale che rappresenta bellezza, leggerezza ed eleganza».

 


Era proprio convinta di voler portare "Vivo" a Sanremo?
«No. Ad Amadeus avevo mandato due pezzi. Oltre a Vivo anche Mi manchi. Fortunatamente è stata scelta Vivo».


Perché fortunatamente?
«Perché ero partita con l'idea di tornare sulle scene, e di farlo su quel palco, con un brano più morbido e delicato rispetto alla muscolarità di una Tikibombom (la canzone con la quale si presentò al Festival nel 2020, ndr). Però evidentemente serviva una canzone che rappresentasse bene il senso dell'album Opera futura: non mi piango addosso. Mentre lo scrivevo facevo il funerale a una parte di me, ma accoglievo al tempo stesso una parte di me nuova, che non conoscevo e che mi sembra potente. Lo canto in Leggera: fa parte, oltre che dell'album, anche della colonna sonora del film Romantiche di Pilar Fogliati, che ho composto interamente io».


Questo sogno erotico di cui parla nel testo com'è esattamente?
«C'è la sessualità, è inevitabile. Ma non solo. L'erotismo è anche un modo di vivere, una pulsione, uno slancio».


Amadeus ha detto che "la gioia del mio corpo è un atto magico" diventerà un inno femminista: ha davvero quell'ambizione?
«No. Amadeus non sapeva nulla sulla genesi della canzone. Non ambisce a diventare un inno: è un grido di speranza. Un modo per dire: "Ora mi riprendo tutto"».
Discoteca Laziale, Via Giovanni Giolitti, 263. Domani, ore 17.30

Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 09:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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