Due canzoni del suo ultimo disco, Il giorno in cui ho smesso di pensare, uscito a febbraio e ancora sul podio della classifica settimanale Fimi/Gfk relativa ai più venduti in Italia (questa settimana è terzo dietro Lazza e a Beyoncé e ha superato i 120 milioni di ascolti su Spotify, vincendo il Disco di platino), hanno titoli in lingua spagnola: Como Te Llamas e Yo Quiero Amarte. Al mondo latino guarda anche il suo nuovo singolo, PamPamPamPamPamPamPamPam si intitola così arrivato in radio e sulle piattaforme all'inizio di luglio, un mix esplosivo urban con influenze caraibiche e tropicali da oltre 10 milioni tra ascolti su Spotify e clic su YouTube. La svolta latin pop di Irama prelude a qualcosa di più importante: «È vero, sto pensando di trasferirmi in America Latina.
Cosa cerca in America Latina?
«Mi piacerebbe raccogliere influenze locali per contaminare ancor di più la mia musica. E al tempo stesso vorrei far conoscere al pubblico di quei paesi il nuovo pop italiano, che negli ultimi anni ha acquisito una dimensione internazionale a livello di suoni e produzione».
La percezione della musica italiana all'estero è rimasta ferma agli anni d'oro di Eros Ramazzotti e Laura Pausini?
«Sì. I Maneskin hanno inaugurato una nuova era. Il bello del pop italiano contemporaneo è che in classifica, in Italia, sono tornati artisti italiani».
Fa il nazionalista?
«No, per carità. Voglio dire solo che è bello che finalmente i nuovi protagonisti della scena, dagli autori ai produttori, abbiano contribuito a valorizzare la musica italiana. Va bene che tutto il mondo è paese, ma mi riempie il cuore di orgoglio pensare che la mia generazione abbia reso il pop italiano di nuovo competitivo».
In PemPemPemPemPemPemPemPem ha collaborato con Adrián Sánchez, Amritvir Singh e Finesse, già al fianco di star della scena latina e rap d'oltreoceano come Rauw Alejandro, Nicki Minaj e Polo G: come li ha raggiunti?
«Sono volato a Miami la scorsa primavera per conoscere autori latini, insieme al mio produttore Giulio Nenna. A farci da guida è stato proprio Finesse, un produttore italiano che grazie al suo talento ha conquistato gli Usa. Il singolo è nato lì: è un esperimento di dembow».
Scusi?
«È un genere musicale originario della Giamaica, caratterizzato dal ritmo coinvolgente, tra elettronica e sensualità».
Punta a fare un disco in spagnolo?
«Non mi dispiacerebbe. Sarebbe un modo più semplice per farmi capire da quel pubblico».
Le radio, a distanza di sei mesi dalla partecipazione all'ultimo Festival di Sanremo, continuano ancora a passare Ovunque sarai, che nel frattempo ha vinto il doppio Disco di platino. Qual è la vera strada di Irama, le ballate o il latin pop?
«Già da qualche anno sto dimostrando di sapermela cavare in entrambi i generi. La chiave del mio successo è l'autenticità. Quando voglio divertirmi, scrivo e registro canzoni più leggere e spensierate. Quando mi sento più cupo e riflessivo, tiro fuori ballate come «Ovunque sarai».
È vero che non era così convinto di portarla in gara a Sanremo e di farla uscire?
«Sì. Mi sembrava una canzone troppo intima e personale per essere condivisa con tanta gente (è dedicata alla nonna di Irama, scomparsa, come il cantautore ha ammesso durante il Festival condividendo su Instagram una foto da bambino insieme a lei, ndr). A convincermi a cantarla è stata mia mamma».
Prima i palasport gremiti, poi il lungo tour all'aperto: al prossimo giro punta agli stadi?
«Vedremo. Sarebbe bello. Intanto mi sto godendo questi bagni di folla: ho aspettato questa estate per due anni e ora me la godo».