Giuliana Musso, sguardo "dentro" la distruttività umana
«Per la prima volta porto in scena anche me stessa»

Martedì 25 Agosto 2020 di Chiara Pavan
Giuliana Musso in scena a Operaestate e alla Biennale Teatro
“Dentro” casa e dentro la famiglia, dentro i corpi, le relazioni, ma soprattutto dentro pensieri, giudizi e i pregiudizi, dentro il silenzio delle vittime. E nello stesso tempo “dentro” il teatro stesso, dentro la vita, la sua vita. Giuliana Musso guarda sempre avanti. E stavolta decide di giocare a carte scoperte, mettendosi per la prima volta in scena. L’attrice e drammaturga - vicentina di nascita e udinese di adozione - tra le maggiori esponenti del teatro di narrazione e d’indagine, si prepara all’anteprima di Operaestate, il 25 agosto al castello di Bassano (ore 21) e al gran debutto sul palco del Festival della Biennale di Venezia (il 18 settembre alle 21.30 al teatro Goldoni), del suo nuovo lavoro “Dentro (Una storia vera se volete)”, dove racconterà il suo incontro con una donna (Elsa Bossi) e con la sua storia segreta. Un progetto nato «dalla chiamata del direttore della Biennale Latella che ha invitato gli artisti a riflettere sul tema della censura - spiega l’artista - Il debutto era previsto a luglio a Venezia e poi a Bassano che co-produce lo spettacolo. Poi, slittando a settembre il festival, la Biennale ha comunque concesso l’anteprima a Operaestate in quanto co-produttore on la Corte Ospitale».

Dopo “La Scimmia”, “Mio eroe” e “Medea” prosegue la sua analisi sul tema della distruttività umana.
«Spero che “Dentro” possa concludere questa perlustrazione del tema della violenza di sistema. Anche qui si esplora la normalizzazione della violenza, ma stavolta il testo cerca di scatenare un meccanismo di specchi. Mentre ascolti una storia che pensi sia lontanissima dalla tua o di chi ti sta vicino, in realtà ti ritrovi nei sentimenti, nei pensieri, nella memoria di esperienze vissute. Capisci che anche tu hai anche la tua parte nel grande meccanismo del tabù».

Che vuol dire? Siamo tutti complici?
«Diciamo che siamo complici ma anche un po’ vittime. “Dentro”, sul piano narrativo, tratta il tema di un sospetto abuso intrafamiliare. Ma in realtà il tema centrale è il tabù: mi interessa capire come agisce e cos’è. E’ un concetto che io stessa ho dovuto prendere con grande cautela».

E come lo vede?
«Quasi come un fatto biologico. Ma anche come prodotto della cultura: perchè ci sono cose che siamo addestrati a non voler sapere. Sapere potrebbe destabilizzare quella struttura di relazioni, di convenzioni, di valori, la stessa concezione generale della vita che per noi è indispensabile».

Un esempio?
«In politica: immaginare che un governo o dei capi di stato possano agire contro il bene della comunità delle persone, anche questo non lo vogliamo vedere o non riusciamo a concepirlo. Continuo a usare come esempio il tema della guerra, delle armi: non ci arrendiamo ancora al fatto che la verità sulla guerra non la vogliamo sapere, nonostante tutta la nostra intelligenza, la conoscenza, democrazia».

Quali tabù allora in “Dentro”?
«Quello della violenza. Una delle cose più inconcepibili è proprio l’abuso sui bambini, il grande rimosso collettivo: non se ne parla. Ma un altro grande tabù è anche il dolore. Il dolore degli altri: stare vicino a chi prova una grande sofferenza è difficile. Con questo piccolo lavoro cerchiamo di mettere un sassolino nell’ingranaggio, un inciampo».

Cosa le interessa soprattutto?
«Capire dove siamo coinvolti in prima persona: questi atteggiamenti, questi pensieri, questi tabù da qualche parte sono dentro di noi. Così per la prima volta nella mia vita rappresento me stessa in scena. Ne faccio parte come Giuliana».

Come mai questa scelta?
«Non l’avevo mai fatto prima, ma stavolta, proprio perchè il tema base è la verità, ho pensato che fosse importante espormi e non nascondermi. Lo spettacolo risponde a una chiamata sul tema del nascondimento e della censura. E ho pensato di prendere fino in fondo questa proposta e di svilupparla».

Andando "dentro" allora: di qui il titolo?
«È il dentro la casa, dentro la famiglia, ma anche dentro l’anima delle vittime, dentro i corpi, le relazioni. Allargando il cerchio, “dentro” i professionisti della cura, della giustizia, dell’assistenza. Per poi per finire dentro i nostri pensieri, dentro al silenzio delle vittime. E infine dentro al teatro, perchè in qualche modo metto in scena qualcosa di me e del mio fare teatro, anche se da un altro punto di vista. Devo ringraziare la Biennale e il direttore Latella che ha stimolato una ricerca profonda in un’edizione così particolare pensata ancor prima del covid». 
Ultimo aggiornamento: 2 Settembre, 10:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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