Gino Paoli e il tentato suicidio: «Mi sparai perché pensavo di avere tutto. Un anno prima in un incidente avevo perso il mio amico fraterno»

Un estratto della sua autobiografia "Cosa farò da grande" scritta con Daniele Bresciani e in uscita il 2 novembre.

Domenica 22 Ottobre 2023 di Gino Paoli
Gino Paoli: «Mi sparai perché pensavo di avere tutto. E un anno prima in un incidente avevo perso il mio amico fraterno»

Gino Paoli, un estratto della sua autobiografia "Cosa farò da grande" scritta con Daniele Bresciani e in uscita il 2 novembre. 

Io, in quel momento, avevo tutto. Successo. Soldi. La casa più bella di Genova, le due donne più belle d'Italia erano innamorate di me. Sapore di sale, uscita da poco, era in tutte le classifiche. Ripensandoci, forse troppo per un ragazzo di nemmeno trent'anni. Avevo tutto, sì. Ma non sentivo più niente. Ne hanno dette di ogni genere per cercare di spiegare. Questione di donne, è stata l'ipotesi più frequente. Io ero sposato con Anna, la mia prima moglie, avevo avuto una storia passionale con Ornella Vanoni e ne stavo vivendo una ancor più travolgente con Stefania Sandrelli.

Ma il mio amico di lunga data Arnaldo Bagnasco, giornalista e geniale autore televisivo, sostiene che io mi sono sparato perché non mi ero perdonato quello che era successo il 20 settembre dell'anno prima. Eravamo insieme, Arnaldo e io, quella notte. Con noi c'erano altri tre amici: Giulio Frezza, Giovanni Battista delle Piane, detto Ruccoli, e Victor Van der Faber, che tutti chiamavamo Pitt e che era a sua volta un musicista. Eravamo amici fraterni. Io sono al volante, Arnaldo accanto a me, gli altri tre dietro. Qualcuno si addormenta, Arnaldo e io continuiamo a chiacchierare. Guidare non mi pesa, con la vita che faccio sono abituato alle notti in macchina. Ci troviamo davanti un camion, che va lento come una lumaca e ci chiude la visuale. Decido di sorpassarlo. Ma non appena esco nell'altra corsia, vedo due fari venirmi incontro. Un'Alfa Romeo, una Giulietta. Freno, sterzo per rientrare e l'ultima cosa che sento è proprio la voce di Pitt: "Attento, Gino!" e poi il tempo che accelera, si avvita su se stesso. Le ruote non fanno più presa e perdo totalmente il controllo. Anche l'Alfa che viene nel senso opposto sterza, ma è troppo tardi, l'impatto è inevitabile.

I ROTTAMI

Quello che accade dopo è un volo che rivedo al rallentatore e senza sonoro, la strada scompare, nessuno che fiata, il tonfo sordo della ricaduta e la fine della corsa contro un cartellone pubblicitario. Arnaldo e io siamo ancora nell'abitacolo, gli altri tre sono sbalzati fuori. È Arnaldo a guardare per primo il mio viso sanguinante per le schegge del parabrezza e a capire che me la caverò. È lui a uscire per primo dai rottami e a trovare Giulio, urlante per la clavicola rotta, Ruccoli, che se l'è cavata con qualche contusione, e infine Pitt, più lontano, al bordo del marciapiede. Sembra svenuto. Nel frattempo arrivano la polizia e le ambulanze che ci portano al Fatebenefratelli, compreso il tizio dell'Alfa che è illeso. E quando caricano Pitt sull'ambulanza, Arnaldo sale con lui senza smettere di parlargli. Nel retro del mezzo, con loro, c'è una suora infermiera. È lei a riportarlo alla realtà: "Questo ragazzo è morto". Arnaldo descrive la mia disperazione in ospedale, dice che mi bloccano mentre mi lancio verso la finestra e che serve un'iniezione di tranquillanti per farmi tornare a una parvenza di calma.

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E dice che ha subito ripensato a quella notte quando, dieci mesi dopo, mentre era ad Amsterdam per lavoro, ha letto sui giornali che mi ero sparato al cuore. In parte, credo, ha ragione. Provo a ripensare a me stesso, solo, nella casa di Genova, ai motivi che mi hanno spinto a fare una cazzata del genere Credo solo di aver detto fra me e me: "Hai tutto, molto di più di quello che ti serve. Hai visto tutto, non ti resta più niente da guardare. Perché non te ne vai a vedere che cosa c'è dall'altra parte? Che ti frega". Quella sera mia moglie Anna era uscita. All'inizio penso di usare i barbiturici. Prendo una pillola. Niente. Due. Niente. Tre, quattro, cinque, dieci. Le annaffio anche con dell'alcool, qualche bicchiere di calvados. Niente. Penso, mi butto dalla finestra. Ma non sopporto l'immagine di mia madre che mi vede sfracellato sul cemento della strada. Non voglio aggiungerle dolore a dolore.

Allora mi dico: ho due pistole. Adesso mi sparo. Le carico entrambe e le provo su un libro spesso, un grosso vocabolario, per vedere quale delle due arriva più in profondità. La Derringer calibro 5. Ha la canna lunga, più sostenuta. Per sicurezza, prima esplodo un altro colpo sul materasso. È quella giusta. Mi stendo, me la punto al cuore. Faccio un respiro. Premo il grilletto. Sento un dolore pazzesco, come se una montagna mi fosse precipitata sul petto, e poi più niente. Quello che succede dopo, ancora una volta me l'hanno raccontato altri. Giovanni Battista che mi trova sul letto coperto di sangue, gli occhiali neri spezzati, la corsa in ospedale San Martino, i medici che non riescono a svegliarmi non potevano sapere di tutto il sonnifero che avevo preso , mio padre e mia madre disperati per un figlio tanto stronzo, Anna e mio fratello sconvolti e gli amici che arrivano di corsa appena si sparge la voce. Passano in ospedale Umberto Bindi, Teddy Reno e Rita Pavone. Passa Ornella, di notte, per non destare troppa curiosità. Di nuovo i rotocalchi ci vanno a nozze. Viene anche Luigi Tenco, disperato, che non si dà pace. Mi rimprovera e continua a ripetermi ossessivamente: "Non si fa, Gino, non si fa Non si fanno queste cose". Me lo sarei ricordato, qualche anno dopo.

LA PALLOTTOLA

Uno dei luminari della cardiologia dell'epoca mi spiega che la piccola pallottola si è andata a infilare in un punto infame e che un intervento chirurgico sarebbe troppo pericoloso. Meglio lasciarla lì dov'è. Non è il caso di stuzzicarla, meglio evitare gli sforzi eccessivi: vita regolare, sana, niente stravizi, non agitarsi né dedicarsi troppo al sesso. Io annuivo. Ho imparato così bene la lezione che negli anni a venire non mi sono certo tirato indietro tra donne, whisky, sigarette. Oltre ad avere una passione sportiva non proprio indicata per chi aveva un problema come il mio: le immersioni in apnea. Sono andato a stringere la mano al Cristo degli Abissi di San Fruttuoso ogni anno per tutto il resto della mia vita. E malgrado tutto questo, io e lei, la pallottola intendo, siamo ancora qui.

Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 09:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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