Federica Pellegrini: «Da veneziana vivo di acqua, di bellezza e di malinconia»

In libreria l'autobiografia della campionessa. Un viaggio dalle prime bracciate in piscina ai trionfi e alle medaglie ai Giochi Olimpici. Un libro che racconta le fatiche e le passioni

Lunedì 15 Maggio 2023 di Federica Pellegrini
Federica Pellegrini

Pubblichiamo un brano del libro “Oro” di Federica Pellegrini in libreria in queste settimane e che verrà presentato mercoledì prossimo a Milano e sabato 20, al Salone del libro di Torino. Poi inizierà un tour di presentazioni in tutta Italia.

Sono nata a Venezia il 5 agosto 1988.

Quindi nel mio patrimonio genetico ci sono l'acqua, la bellezza e la malinconia. I tramonti, quell'orizzonte in cui cielo e mare si toccano, le irripetibili sfumature di bianco. La malinconia la conosco bene, quello stato d'animo di lieve tristezza e leggera lontananza. Nel mio carattere ci sono discrezione e serietà, fatico ad accettare il caos, lo strepito, il volume alto con cui si affrontano certe situazioni. Mi piace il silenzio, l'andamento inesorabile e sobrio della corrente. Sono nata in una città riflessa nell'acqua, in cui i miraggi e le apparizioni valgono quanto la realtà. Credo a quello che vedo, ma a volte anche all'invisibile. Ai sogni, a certe folate di vento che mi bisbigliano cose all'orecchio.


Sono cresciuta in una famiglia molto unita. Cinzia e Roberto, mia madre e mio padre, stanno insieme da quando erano ragazzini. Lui è nato a Verbania, sul lago Maggiore. Quando parla del lago ancora si commuove. Mio nonno, il babbo di mia mamma, era campione italiano di lotta greco-romana. Sarebbe dovuto andare alle Olimpiadi, ma decise che era arrivato il momento di mettersi a lavorare per mantenere moglie e figli. Nei geni della nostra famiglia c'è lo sport.


I miei genitori si sono conosciuti al Florian, a Venezia, dove mio padre era bartender. La leggenda familiare dice che è stato un colpo di fulmine, appena lei è entrata lui ha capito che avrebbe voluto sposarla. Si sono frequentati e hanno sigillato il loro amore con una promessa: lei avrebbe smesso di fumare e lui avrebbe rinunciato alle feste. Per i trent'anni del loro matrimonio siamo andati tutti a Las Vegas. Si sono risposati davanti a Elvis che gli cantava le canzoni. I miei sono sempre stati dei gran ballerini.


Sono nata all'ospedale di Mirano, a due passi da Venezia. Ho una foto nella quale sembro un'aliena. Ero grossa, 4 chili e 100. Sono cresciuta a Spinea, un paese lì vicino. I miei avevano comprato un appartamento di ottanta metri quadri quando si erano sposati e lo avevano ristrutturato da soli, come si faceva una volta. Ho sempre diviso la camera con mio fratello Alessandro, che ha due anni meno di me.


Una famiglia normale, non particolarmente benestante. Di soldi non si parlava mai. Avevamo l'automobile e d'estate la caricavamo e partivamo per Jesolo, dove facevamo la villeggiatura, un mese, in un residence. Ci siamo andati per così tanto tempo che è diventato il nostro posto, il nostro mare. Adesso abbiamo comprato una casetta che funge un po' da punto di ritrovo per la famiglia. Quando io e Alessandro abbiamo due giorni liberi o quando a inizio maggio comincia a fare bel tempo, i miei vanno su. Qualche anno fa mi hanno intitolato un pezzo di lungomare.


I miei genitori abitano ancora a Spinea, però nel 2008 hanno cambiato casa. Si sono spostati di poche centinaia di metri, ma per mia mamma è stato un trauma. Quando le abbiamo proposto di vendere la vecchia casa lei è scoppiata a piangere. In quella casa ho cresciuto i miei figli, diceva, e piangeva. Alla fine si è convinta. Ha regalato due materassi alla coppia che abitava al piano di sopra, pregandoli di averne cura perché erano i materassi dei suoi bambini (io e Alessandro avevamo allora ventisette e venticinque anni). Era una casa piena di ricordi. Sgombrando il garage abbiamo tirato fuori i quaderni dalla prima elementare alla quinta liceo, gli zaini, le videocassette di Alice nel Paese delle Meraviglie, di Biancaneve e di tutti gli altri cartoni della Disney.
In casa, su un ripiano della libreria, c'era un'enorme scatola piena di diapositive e fotografie. I miei le buttavano dentro alla rinfusa. Ogni tanto poggiavamo la scatola sul tavolo e ci mettevamo a sfogliarle. Era una specie di esercizio di memoria. Anche io ho sempre fotografato tutto, fin da bambina. Andavo in giro con la mia macchina fotografica. Sono cresciuta senza il digitale, mi piacevano le foto vere, quelle da stampare. Non so quanti soldi ho speso per stampare fotografie. Ho quattro bauli pieni di album. Sono attaccata agli oggetti, mi sento difesa dalla presenza fisica delle cose. Le cose, come l'acqua, il sonno, il calore, gli abbracci, mi proteggono.

Ultimo aggiornamento: 17:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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