Eugenio Finardi: «Il mio cuore mi ha spaventato. Swing e pilates, a settant’anni sono ribelle così»

Parla il cantautore milanese, che il 22 marzo si esibirà a Roma: «Da “Soweto” a “Extraterrestre” reinterpreto le mie canzoni con il jazz»

Lunedì 20 Marzo 2023 di Mattia Marzi
Eugenio Finardi: «Il mio cuore mi ha spaventato. Swing e pilates, a settant’anni sono ribelle così»

In fondo la cosa più rock che possa fare un ex rocker settantenne - che quest'anno festeggia cinquant'anni di carriera - è riscoprirsi salutista facendo esercizi di fitness ascoltando musica leggera e portando a spasso il cane: «Sanremo? Mi è piaciuto Olly. La sua Polvere in stile Coldplay è tutta da ballare. Io la ascolto mentre faccio zumba», rivela Eugenio Finardi tra una data e l'altra del tour legato al suo ultimo album Euphonia Suite, raccolta di rivisitazioni di suoi brani più o meno noti.

Mercoledì sera il 70enne cantautore milanese è al Parco della Musica, a Roma.

Da quanto ha scoperto la zumba?
«Da un paio d'anni. Il malore del 2021, quando prima di un volo il mio cuore ha cominciato a battere forsennatamente, costringendomi a fare un pit stop in ospedale per scongiurare un infarto, mi ha spaventato. Ora sto bene, ma devo tenermi in forma».

E cos'altro fa?
«Pilates, perché alla mia età è importante avere anche una buona flessibilità. E poi porto a spasso il cane».

Eccessi?
«Zero. Mi sono liberato di quei panni in tempi non sospetti. Extraterrestre, la mia canzone più conosciuta, nel 1979 fu in realtà un insuccesso: i fan della prima ora la considerarono un tradimento alla militanza di Musica ribelle».

Lo era?
«Sì. Quei panni avevano già cominciato a starmi stretti. E poi diciamolo chiaramente: lo spirito di ribellione degli Anni '60 e 70 svanì con Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Diedero un colpo d'ascia a quei sogni. Lo dice uno che nel '70 andò al Festival dell'Isola di Wight, dove suonarono giganti come Jimi Hendrix, i Doors, gli Who».

Cosa cambiò dopo "Extraterrestre"?
«Nel 1983, quando nacque la mia primogenita Elettra (affetta da sindrome di Down, ndr), feci un disco intimista, elettronico, uno dei primi incisi in Italia con il Fairlight, che anticipò i moderni software di composizione musicale. Però non mi sono mai svenduto: quando nella seconda metà degli Anni '80 i discografici provarono a fare di me un cantante di musica leggera, mandandomi pure in gara a Sanremo (nel 1985 con Vorrei svegliarti, ndr), arrivai allo scontro. E cominciai a fare di testa mia. Negli anni ho fatto un disco di fado, un album blues e pure un progetto mistico, Il silenzio e lo spirito. Ora c'è questo Euphonia Suite».

«Non è jazz, non è pop, non è classica», ha detto. Che disco è, allora?
«L'ho pensato come una suite. Il pubblico vuole sentire solo i pezzi vecchi. È un destino triste, malinconico. Allora piuttosto che far uscire un'inutile raccolta, per festeggiare i miei 70 anni e i 50 di carriera ho scelto una manciata di pezzi storici e li ho reincisi con il pianista Mirko Signorile e il sassofonista Raffaele Casarano: da Soweto a Le ragazze di Osaka, passando per la stessa Extraterrestre. Così evito di fare il cantautore che suona i suoi pezzi seduto su uno sgabello, ma al tempo stesso mi diverto reinterpretando le mie canzoni in chiave swing e jazz».

Mai pensato al ritiro?
«Confesso di aver accarezzato l'idea della pensione prima del lockdown. Poi i mesi in casa mi hanno fatto capire quanto fossi dipendente da questa vita».

A proposito di dipendenze. "Scimmia", in cui nel 1977 raccontava i suoi trascorsi con l'eroina («Il primo buco l'ho fatto una sera / a casa di un amico, così per provare»), la canta?
«No. Mi fa male farlo. Però mi fa ancora venire i brividi, per l'autenticità di quello che raccontai e di come lo raccontai».

Pensa di essere invecchiato bene, Finardi?
«Sì. In maniera onesta, soprattutto. Ho imparato le mie lezioni».

 

Ultimo aggiornamento: 08:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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