Cangrande, sfatata la leggenda del suo assassinio: il mecenate di Dante Alighieri morì per un malattia genetica

Giovedì 20 Maggio 2021
Cangrande, sfatata la leggenda sul suo assassinio

Cangrande della Scala, signore di Verona e protettore di Dante Alighieri che il poeta ricorda nella Divina Commedia è morto a 38 anni a Treviso, nel 1329, per una glicogenosi tipo II a esordio tardivo, una malattia genetica rara. A svelarlo sono state le analisi scientifiche condotte sul dna dal laboratorio di Genomica Funzionale del Dipartimento di Biotecnologie dell'Università di Verona, diretto dal professor Massimo Delledonne.

I risultati della ricerca

I risultati della ricerca sono stati invece presentati oggi nell'ambito del progetto «Verona, Dante e la sua eredità 1321-2021». Il dna di Cangrande fu prelevato nel 2004 in collaborazione con il laboratorio di Antropologia Molecolare e Paleogenetica dell'Università di Firenze, coordinato dal professore David Caramelli e dalla proforessa Martina Lari, esperti nell'estrazione di dna antico. Crolla così una leggenda nera secolare che faceva dell'uomo una vittima assassinata attraverso l'avvelenamento di una tisana di camomilla e digitale (una sostanza usata come cardio tonico). 
 

 

Sequenziato il dna di Cangrande 

Il dna di Cangrande è stato quindi «sequenziato» come se si trattasse di un paziente dei nostri giorni e l'analisi bioinformatica degli 83 milioni di sequenze prodotte ha portato alla ricostruzione del 93.4% dei suoi geni, un valore davvero elevato. Nei casi a esordio tardivo, come quello riconducibile a Cangrande, il quadro clinico mostra scarsa resistenza alla fatica fisica, con difficoltà respiratoria, debolezza muscolare e crampi, fratture ossee spontanee e cardiopatia.

La morte dei pazienti adulti è spesso quasi improvvisa per difetto di forza, a rapida insorgenza, del diaframma e degli altri muscoli respiratori. Alcune opere storiche hanno messo in luce piccoli indizi compatibili con questa patologia, relativi a soste forzate nel corso di tragitti a cavallo abbastanza brevi, a improvvisi malesseri e, forse, anche alla preferenza per l'uso dell'arco rispetto alla spada (che comportava un impegno muscolare meno vigoroso e più controllabile).

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Parola fine al mistero

«Si mette così la parola fine - afferma l'assessore alla Cultura del comune di Verona, Francesca Briani - a uno dei misteri che ancora circondano la Signoria Scaligera, la famiglia che accolse l'esiliato Dante in città. Un processo scientifico emozionante che, per la prima volta, ha portato all'osservazione approfondita del dna di Cangrande dopo l'acquisizione dei campioni realizzata nel 2004. Si completa un percorso di analisi sulla mummia del principe scaligero,che ci da la possibilità di identificare nuove e interessanti informazioni storiche sulla sua vita e, in particolare, morte». L'indagine è infatti partita da lontano, esattamente dal 12 febbraio del 2004 quando, per decisione del Comune e i civici Musei d'Arte, fu organizzata la ricognizione e l'apertura dell'arca funebre di Cangrande della Scala, che portò ad identificare il corpo mummificato dello scaligero, più o meno nelle medesime condizioni in cui era già stato rinvenuto all'interno della cassa nell'apertura del 1921 (in occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri). Il corpo del principe fu sottoposto ad una serie di indagini scientifiche e autoptiche prima di essere nuovamente riposti nell'arca che li aveva preservati per secoli. Parte dei materiali biologici, in particolare il fegato e alcune falangi del piede, furono inviate all'Università di Pisa per ulteriori indagini biomediche. Nei primi mesi del 2007, i reperti furono restituiti e depositati presso il Museo di Storia Naturale perché venissero conservati e resi disponibili per futuri ulteriori studi.

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«La scelta di affidare i resti di Cangrande della Scala al Museo di Storia Naturale - sottolinea la direttrice dei Musei Civici di Verona, Francesca Rossi - venne dettata dal fatto che la conservazione dei materiali biologici richiede particolari accortezze, già previste per le collezioni del Museo, in particolari quelle zoologiche». Questo sforzo congiunto fra gli esperti del Museo di Storia Naturale e Università degli Studi di Verona e di Firenze ha permesso di dimostrare come sia possibile analizzare con altissima precisione i geni di un dna così antico, sfruttando procedure diagnostiche all'avanguardia, per giungere a una diagnosi clinica certa, anche quando le fonti storiche sono scarse. 

Ultimo aggiornamento: 14:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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