La Banda Osiris: «Facciamo suonare le vacche». Concerto in malga, pezzo forte "La mia mucca suona il rock"

Sabato 17 Luglio 2021 di Chiara Pavan
Banda Osiris. Concerto in malga con le mucche

TREVISO - Promettono un “concerto rock” tra mucche e trattori, o meglio una “composizione originale per salita e discesa” da gustare in un pomeriggio d’estate in malga, davanti a un panorama che si affaccia sulle montagne, tra Monte Tomba e il Massiccio del Grappa. Con la Banda Osiris, per l’occasione in versione allargata «con la gentile collaborazione del gruppo Ottavo Richter», tutto è possibile. Persino uno show impensabile come “La mia mucca suona il rock”, ideato proprio per il gran finale del festival “La giusta distanza” che si chiude domani, alla Malga Molvine Binot sopra Melies e Segusino, in mezzo a 25 mucche da latte “chiamate” a dare il giusto contrappunto alla dissacrante banda di musicisti, cabarettisti, attori che da più di 40 anni saltellano allegramente tra pop, rock e classica facendo suonare persino acqua, vasi e ortaggi. Invitati da Mirko Artuso, i 4 artisti che cantano, suonano e danzano regalando spassosissime gag musicali sono pronti alla nuova avventura “montana” che li spingerà «a inventare l’impossibile - ride Gian Luigi Carlone, l’instancabile “elfo” sax soprano con barbetta bianca perimetrale - anche noi non sappiamo che sarà.

Appena vediamo le mucche... capiremo (risata). Abbiamo un’idea della scaletta, ma ciò che succederà davvero, lo scopriremo insieme al pubblico».

Ma che farete?

«Pezzi che conosciamo, per questa occasione faremo cose rock, giocando con “Smoke on the water” oppure con i Nirvana. E poi, dato che ci siamo in montagna, non potrà mancare un omaggio ad Heidi. Ma anche ai Beatles! Vedremo subito se le mucche gradiscono». Uno show all’insegna dell’imprevisto.

State insieme da 41 anni ormai. Vi conoscete benissimo.

«Anche troppo. Per fortuna ci è sempre piaciuto giocare con gli ostacoli, per superare i limiti».

Come si fa a reggere così a lungo senza mai litigare?

«Sono i debiti che ci tengono insieme (risata). È che se ci sono malumori o discussioni, appena saliamo sul palco, tutto si scioglie, non c’è barriera. Sul palco ci divertiamo ancora molto: questo il collante. E il fatto poi di avere la possibilità di confrontarsi con altri linguaggi, di poter suonare con altri artisti come Bollani o Bosso, ci consente di continuare e crescere. Senza mai stancarci».

Cosa vi diverte?

«Fare lo spettacolo. Non le prove, che non ci divertono: è la parte più faticosa, si spreca molto. Abbiamo tante idee, ma se non girano bene vengono buttate, per arrivare a qualcosa che ci soddisfi tutti».

Siete più che musicisti: attori cabarettisti, comici.

«Adesso ci definiscono “performer”. In realtà nessuno di noi è nato musicista “puro”: abbiamo studiato sì, ma non al conservatorio, quindi abbiamo un approccio molto libero alla musica. Ci siamo inventati qualcosa che si legasse alla parte visiva della musica giocando col corpo. Partendo dalla commedia dell’arte, abbiamo cercato la fisicità della musica. Il movimento è stato associato alla musica, come se lo strumento diventasse una maschera. E questo, pian piano, ci ha permesso di inventare tanto».

Gli strumenti a fiato sono una maschera interessante.

«Infatti, si prestano molto. E ognuno è diverso: così accade che il suono ti porta da una parte, e dall’altra segui la parte meccanica. Lo strumento diventa così una sorta di prolungamento del corpo». Un lavoro che nasce a teatro. «Sì, abbiamo seguito molti laboratori teatrali sulla percezione dello spazio e sulla musica come linguaggio espressivo. All’inizio è stata dura: tante idee da supportare col movimento, magari senza andare a sbattere l’uno contro l’altro».

Ma come nascono i vostri pezzi?

«Ogni volta è diverso. A volte sono cose pensate, a volte accadono mentre provi e quindi trasformi. Che so, agli inizi lavoravamo con un mimo americano, e mentre Carlo stava suonando la batteria, gli è caduta una bacchetta e uno di noi è corso a prenderla e ha cominciato a correre come se fosse una staffetta. A volte costruiamo “immagini” con gli strumenti, a volte è il corpo a seguire gli strumenti, diciamo che lavoriamo molto per associazione».

E l’ironia?

«Quella, per fortuna, arriva naturalmente. Anche perché non ci prendiamo mai sul serio».

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