Padri, figli e l'eredità da scegliere: "Re Lear" secondo Camilli e Lucenti

Mercoledì 3 Agosto 2022 di Chiara Pavan
Un momento dello spettacolo

Una scena vuota, bianca, una parete di luce che rimanda a un’enorme radiografia, «una radiografia dell’esistenza». E corpi che danzano, si incontrano e si scontrano, misurandosi “fisicamente” con la parola della tragedia shakesperiana. Per raccontare amore e potere, ma soprattutto l’eredità paterna, nella consapevolezza, proprio come ribadisce “Re Lear”, che «non dobbiamo dimostrare niente ai nostri padri, solo amarli, per tutto quello che sono stati per noi». Michela Lucenti e Maurizio Camilli duettano tra le parole per raccontare il nuovo “Nothing, nel nome del padre, del figlio e della libertà” che il 4 agosto, alle 21.15, debutta al Teatro Romano di Verona in prima nazionale al festival shakesperiano. La coreografa e regista, anima del Balletto Civile, e il danz’attore trevigiano, “esploso” dopo i potenti “Cclera!”, “Col sole in fronte”, esplorano adesso la crisi irreversibile dei rapporti tra padri e figli alla ricerca di un nuovo “ordine” non prestabilito, libero da bisogni e aspettative.

LA RIFLESSIONE

Partendo dalla tragedia del Bardo e dal libro di Massimo Cacciari, “Re Lear padri figli eredi”, i due artisti riflettono «sul concetto straordinario di eredità, quell’eredità vera che possiamo avere nel momento stesso in cui restiamo orfani, in cui perdiamo quel rapporto col padre, in cui ne sentiamo la mancanza e vediamo l’asse portante di ciò che ci è stato lasciato. Dal baratro della perdita capiamo quello che ci rimane». Ed è proprio qui, su quel “Nothing” pronunciato dalla figlia di Lear, Cordelia, cui la stessa Lucenti dà anima e corpo, che «si scatena la tragedia - precisa Camilli- : è la parola che dà inizio alla distruzione del conosciuto, aprendo le porte al nuovo, al sovversivo». Il lavoro del Balletto Civile, che da sempre regala un emozionante “teatro fisico” in grado di unire i testi ai corpi dei performer, vede in scena anche due over 70, tra cui Maurizio Lucenti, 76 anni, padre della coreografa, che sul palco darà vita proprio Lear. «Per tutta la vita mio padre ha fatto altro, non c’entrava niente con il teatro, ma ha una fisicità pazzesca e tanta passione - spiega Michela - Questo “lavoro”, per lui, è una forma di resistenza alla vita».

Padre e figlia, sul palco, «creano un momento di intimità molto bello» - fa eco Camilli.

LO SGUARDO

«Tanto più in un momento come questo, in un mondo così sradicato come ora - dice Lucenti - che il covid ha ancor più penalizzato. Abbiamo falciato una generazione che ci parlava poco: altro che orfani, ormai siamo tra le macerie, ci manca una struttura su cui appoggiarci. Alla fine usiamo Shakespeare come lente di ingrandimento per parlare di noi. Del nostro tempo. Lavoriamo sulla visione, sul corpo, sull’immagine con delle “partiture fisiche”, spero che il pubblico capisca abbastanza presto che non vedrà uno Shakespeare tradizionale», ma un “Lear” che ci invita a ripensare la nostra identità. Partendo anche alle parole che chiudono la tragedia, mai così contemporanee: “Dobbiamo rassegnarci a questo tempo triste e dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire. I più vecchi hanno sopportato di più: noi che siamo giovani non vedremo tanto, né tanto a lungo vivremo». 

Ultimo aggiornamento: 16:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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