Amy Winehouse, così gli “emeriti idioti”
guadagnano una fortuna sulla sua morte

Lunedì 1 Agosto 2011
Amy Winehouse (foto Matt Dunham - Ap)
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ROMA - Si potrebbe provare a misurare l’infelicit in vita di un artista dalla velocit con cui si specula sulla sua morte. Si capirebbe qualcosa dei tormenti di Amy Winehouse. Non tutto, non la causa primaria, che va rintracciata piuttosto nella sua fragilità e nella tendenza all’autodistruzione, ma l’affondo definitivo, la spinta in basso che rende impossibile la risalita.



I giornali che l’hanno prima disossata e poi consacrata al mito, gli oneri contrattuali che l’hanno spinta su palchi sacrificali, i referenti della casa discografica che lei definiva emeriti «“idioti per i quali non provare alcun rispetto» e che ora guadagnano una fortuna (a pochi giorni dalla morte il disco “Back to back” ha raggiunto la top charts in 17 paesi, oggi anche l’esordio “Frank” è rientrato nella top ten inglese).



«Anime gemelle» come Mark Ronson al quale scrisse su Twitter: «Per me sei morto: scrivo un album e tu ti prendi metà del merito. Vuoi crearti una carriera su questo?» e che userà a suo piacimento canzoni scartate durante la collaborazione come fossero capolavori, il produttore Salaam Remi che possiede una dozzina di brani incompleti e, mentre sta capendo il miglior modo di farli fruttare, ha postato due “inediti” il giorno del funerale subito cliccati da migliaia di internauti (in verità si tratta di due cover, “Round midnight”, uno standard degli anni ‘40 composto da Thelonious Monk, qui in un arrangiamento misero, e una versione di “Some unholy war”).



Il peggior modo di ricordare un artista è divulgare ciò di cui non andava fiero, un’invadenza più intima di qualsiasi scatto rubato perché la musica per la Winehouse non era posa né mestiere ma urgenza espressiva, con una totale aderenza al sentire, alla devastazione emotiva. Non scriveva né cantava una canzone se non la soffriva, si definiva il peggior critico di se stessa, appuntava idee ma non le realizzava finché non si sentiva abbastanza onesta.



Non si sta badando a questa integrità, ma alla disintegrazione di un corpo. Così il padre Mitch sparpaglia le magliette minute di sua figlia tra i fans che stazionano a Camden Square, irriducibili bevitori e mistificatori rock hanno il cattivo gusto di banchettare sulla soglia di casa e di lasciare bottiglie di vodka da tracannare dall’aldilà, propagandisti usano la sua immagine disfatta per campagne antidroga, chi nel 2007 ha partecipato al concorso web per indovinare il giorno del suo decesso ha appena ricevuto in premio un Ipad, la collezione di moda Fred Perry da lei disegnata sfilerà forse come previsto: consigli dalla fossa per l’autunno-inverno 2012.



Aveva altri progetti, la Winehouse. La musica sì, ma a tempo debito e solo se autentica. Agli studi di Abbey Road, mentre registrava un duetto con uno dei suoi padri ispiratori Tony Bennett, girava gli occhi alle pareti, o si guardava i piedi, proprio non ce la faceva a guardarlo, per timidezza, perché non si sentiva all’altezza e diceva incredula: «E’ una storia che racconterò ai miei nipoti, che dovranno tramandarla poi ai loro nipoti». Non sembra l’affermazione di chi si appresta a suicidarsi.



Gli amici confermano che sognava una famiglia, che non voleva più pagare il prezzo del successo, avrebbe voluto aprire una scuola di musica, fare la casalinga, esibirsi nei bar e allevare figli, magari di Blake Fielder-Civil, l’uomo che l’ha iniziata all’eroina e che le ha spezzato il cuore (nella tradizione jazz e blues d’amor si muore), col quale non poteva più stare e dal quale non riusciva a separarsi. E che ha avuto un figlio da un’altra.



Il Daily Mirror riporta la notizia che la Winehouse era pronta ad adottare Dannika Augustine, l’inseparabile bimba di dieci anni incontrata durante il lungo soggiorno sull’isola di Santa Lucia. Aveva prenotato il biglietto per andare a farle visita la prossima settimana, aveva assunto i legali per chiudere la pratica e portasela a Londra. La nonna di Dannika, che vive in totale indigenza, ha dichiarato: «Amy non si sarebbe inflitta tutto questo se Dannika fosse stata con lei».



Dunque, forse, mentre tutti si aspettavano la fine, Amy Winehouse stava cercando una forte motivazione per ricominciare. O forse, intuendo che i servizi sociali inglesi e i tabloid gliel’avrebbero impedito, ha saldato i suoi conti pagando quelle ultime mille e duecento sterline di crack, come sostiene un testimone non ancora confermato dagli esami tossicologici. La sua fortuna era stimata intorno ai dieci milioni di sterline, ora l’elezione a culto internazionale la farà salire a sessanta milioni di sterline. In moneying memory.
Ultimo aggiornamento: 31 Agosto, 21:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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