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Piccola escort, Lolita e bimba sola

Giovedì 31 Ottobre 2013
Io non ci riesco proprio, a chiamarle prostitute. Chissà come si definiscono tra loro. Con quale parola verbalizzano quello che fanno talvolta nelle discoteche, sul web, negli anfratti delle scuole, senza capire esattamente che cos'è, senza sapere quanto farà male, male per sempre, da non guarirne più. Escort, magari tra loro si definiscono così, come le chiama chi ha sdoganato la prostituzione, sfilandola dal buio dell'isolamento sociale, della disgrazia umana, della marginalità, rendendola esotica e un po' smart.. E ora, volendo, lo puoi fare anche se a soldi stai bene in famiglia,“così, tanto per tirar su un po' di euro senza chiederli ai miei genitori” (da un forum),  e al tempo stesso sentirti più grande, più figa, più famosa, più desiderata, magari come la Ruby o le Olgettine,  che hanno svoltato, quelle, e ora le puoi vedere pure alla tv.  Il tacco 12, la mini inguinale, il top che non ti lascia immaginare niente, gli occhi bistrati come li avesse disegnati un carboncino.. se ti travestiti da quello che credi essere donna non ti manca niente,sei bella come loro. E a 18 anni, per il diploma, forse papà ti regalerà le tette nuove. E mamma dice sempre che potresti partecipare a un talent show. E i maschi ti mangiano con gli occhi. E le altre rosicano. Ed essere disinibita e trasgressiva sono punti, fa molto fico, tra gli amici tuoi. E finalmente adesso qualcuno te la dà, un po' di attenzione, ti fa risalire l'autostima depressa da certe distrazioni familiari. E poi tutti dicono che il mondo si divide in due, vincenti e perdenti, e tu dove vuoi stare? E poi tutti dicono anche del buio che c'è nel futuro, che tanto la scuola, che tanto l'università, che tanto mica si mangia, la cultura, e i banchi sfornano solo flussi di disoccupati, sfigati con in tasca briciole, nient'altro. E allora meglio visualizzare subito qualche scorciatoia, meglio attrezzarsi già da ora, che non sei donna per caso, che sul mercato un corpo femminile ha un suo valore, e tutto si vende, tutto si compra, tutto si consuma, e questo lo hai imparato sin da quando eri bambina, sola davanti a un video a sgranocchiare merendine e informazioni tossiche. Quante sirene ciarlatane, dentro e fuori casa, son state a sussurrarti che conta solo il potere di consumo, e che per garantirtelo, volendo, puoi consumarti anche da sola, perché il tuo corpo puoi farlo ballare, ammiccare, spogliare, esibire, comprare, lasciare che si esprima al posto tuo... Cosa ci vuole, in fondo, a scinderlo da te? “Escort”, allora, nome fico.. Forse, tra loro, le ragazzine si chiamano così. Oppure si chiamano per nome e basta, Camilla, Ilaria, Caterina, Sveva, quelle che lo fanno, quelle che a scuola si sa, le foto oscene sui social, i filmini che scorrono tra cellulare e cellulare, qualche prestazione così, senza pensarci, spostandoti per un po' fuori da te...e un po' di soldi, un regalo, una ricarica, io valgo, e poi lo fanno tutte o quasi, no? E quelle che invece non lo fanno, sta' sicura, è solo perché sono cozze, sfigate, un po' fagiane, e ignorano il mantra del millennio, quello che le cattive ragazze vanno dappertutto, e quelle buone, invece, solo in paradiso. E che ti frega se i ragazzi non ti chiamano escort bensì troia, quasi non fossero proprio loro a comprarti come una bambola di carne, oppure a organizzare certi incontri prendendosi la percentuale, senza per questo definirsi papponi, loro no. Baby prostitute, inorridiscono i giornali, come se fosse accaduto all'improvviso, come se tutti avessimo voluto non sapere e non vedere, come se questa storia non fosse cominciata tanto tempo fa, nelle discoteche per bimbi che si travestivano da prede sessuali e predatori, e prima ancora nelle case, nei lunghi pomeriggi a “educarsi” da soli e da sole davanti alla televisione o lungo il web, nei vuoti di cultura di pensieri di idee di carezze di attenzione di progetti, di educazione alla vita, ai sentimenti, alla lettura, al rispetto, alle passioni, alla sessualità; nella banalità del male, che è la palude dell'apatia interiore, dell'ignoranza, della mediocrità. Ecco perché io non ci riesco proprio, a chiamarle prostitute, nemmeno quelle che si sono vendute in uno squallido appartamento dei Parioli, a Roma, e avevano 15, 14, 12 anni, ed erano piccole prede in saldo a cura di mercanti con il buio pesto in cuore, pronte a lasciarsi lasciare frugare avidamente dalle mani sporche di certi predatori travestiti da uomini qualunque, e dentro l'orrore dell'insipienza, e a casa, magari, qualche figlio che ha quasi la loro stessa età.  E tuttavia non ce la faccio a chiamarle prostitute, quelle ragazzine, perché tra la prostituzione e la violenza c'è la medesima distanza che può esserci tra la capacità di riconoscerle (sia l'una che l'altra, intrecciate come sono), e l'incoscienza più assoluta; tra la percezione del dolore e l'auto-anestesia; tra avere 14, 15 anni e averne di più, molti di più. Perciò non ce la faccio a chiamarle prostitute: sono un'altra cosa, sono caricature dolorose di alcuni mostri che ci assomigliano, che in parte siamo noi. Sono sagome disegnate con tratto preciso da certe mani adulte, sputate da un abisso lungo i cui bordi le abbiamo lasciate camminare e poi precipitare. Non prostitute, dunque, ma invece baby sì, bambine come sono. E poi, a un certo punto, qualcosa le ha trascinate alla deriva, lontano dalla propria infanzia, dai sogni, da se stesse, liquide come l'acqua che le portava via, ad annegarci dentro un po' alla volta, senza saperlo, senza essere avvistate, senza che nessuno corresse a soccorrerle, a salvarle. E via con la corrente, un flusso torbido sgorgato da una fonte e un'altra fonte e un'altra ancora, da così tante fonti che non le puoi contare, non sono su nessuna mappa, sono lungo il cammino quotidiano di ogni bimbo, e di ogni adolescente, e, prima ancora, di ogni singolo adulto che se n'è preso cura così maldestramente, che li ha intrappolati tra i suoi messaggi cialtroni, le sue terribili omissioni, le sue imperdonabili, fatali sciatterie. Ciascuno di quegli adulti, adesso, dovrebbe risarcire ciascuna di quelle ragazzine dagli sguardi luridi e dalle carezze ripugnanti che ha subito per mezzo di altri sguardi, limpidi e dolcissimi, di altre carezze, accoglienti, paterne, materne, intenerite, quelle che forse non hanno ricevuto mai. Ciascuno di quegli adulti dovrebbe prendersi in braccio ciascuna di quelle ragazzine. Cullarla, stringersela al cuore, lasciarla piangere e piangere con lei, rassicurarla, farla ritornare bimba. Chiederle perdono. Ultimo aggiornamento: 21:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA