Alessandra Graziottin
PASSIONI E SOLITUDINI di
Alessandra Graziottin

Quella plastica nella placenta un monito per tutti a vivere più consapevoli e rispettosi della terra

Lunedì 14 Dicembre 2020

«Placenta avvelenata?! E a noi che importa?», diranno molti lettori. Invece la questione ci riguarda tutti. Non solo se abbiamo figli e nipoti, ancor più se in prossimo arrivo. Una plastichetta, il polipropilene, un “polimero termoplastico”, è molto usata non solo in oggetti di uso domestico, ma anche nell’abbigliamento sportivo, perché leggera, traspirante, resistente allo sporco e ai batteri. Ora è stata trovata per la prima volta, in microframmenti, anche nella placenta di donne italiane. Attenzione: mica viaggia solo in quei corpi. Viaggia in molti altri corpi: i nostri. Con quali conseguenze? Non sappiamo ancora. Di certo non ci nutre, non ci accarezza, non aumenta le performance. Non prolunga la vita, certamente non la migliora, probabilmente la peggiora. D’impatto, questa notizia ci fa pensare: la plastica inquinante non è solo nel mondo esterno. Finora invisibile (come il Covid… ci dice niente, la potenza dell’ancora invisibile?) è già entrata dentro di noi, mutanti. Protagonisti di un crescente avvelenamento del mondo, non pensavamo, per ignoranza e arroganza, che in parallelo stavamo inquinando e avvelenando anche noi stessi.

Cellula dopo cellula. Cos’altro deve succedere, perché si cambi atteggiamento verso il mondo? A troppi non importa se la plastica inquina il mondo, i boschi, i fiumi, i laghi, il mare. Non importa se i delfini muoiono soffocati. La ricerca in questione è italiana. L’ho letta con preoccupazione. E con gratitudine, perché ci stimola a riflettere sulle pervadenti conseguenze dell’inquinamento ambientale con plastica perfino su feto e placenta. È stata coordinata dal dottor Antonio Ragusa, che dirige il dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Fatebenefratelli, a Roma, in collaborazione con il Politecnico delle Marche, appena pubblicata su una rivista scientifica, “Environment International”. I ricercatori hanno studiato la placenta di sei donne: in quattro hanno dimostrato la presenza di microframmenti, di polipropilene, sostanza di origine petrolifera, appunto, delle dimensioni di un globulo rosso. Questa è solo l’ultima notizia: digitando “placenta” e “pollution”, inquinamento, su un motore di ricerca scientifico, sono usciti oltre mille articoli sul tema. La placenta è un organo effimero: vive solo nove mesi, a volte meno, se il parto è prematuro. Poco studiata fino a pochi anni fa, ora sta entusiasmando per i molti segreti che racchiude su tutta la nostra salute. Quella vita a termine contiene una miniera di informazioni. Su quello che siamo e saremo. E molto di più. La placenta è sempre stata pensata come un polmone che ossigena il piccolo.

Come uno scudo protettivo, posto tra mamma e bambino. Come una potente ghiandola endocrina, che produce, col fegato fetale, un estrogeno (estetrolo, E4) riscoperto negli ultimi anni, di immenso interesse per contraccezione e terapie ormonali. Come una frontiera dinamica e selettiva. Come un filtro che in parte ferma e in parte lascia passare tra le sue maglie veleni d’ogni tipo. Per esempio, l’inquinamento ambientale aumenta lo stress ossidativo. Accelera l’invecchiamento e l’accorciamento dei telomeri, le parti terminali dei cromosomi che sono un po’ le clessidre della nostra vita. Più sono corti, meno vivremo. E dei mitocondri, i “polmoni” che ogni cellula ha. Peggio respirano, prima ci ammaliamo. Nella placenta, dal lato fetale, altri ricercatori hanno trovato frammenti di carbone nero: sì, quello combustibile. Altri tossici ambientali riducono l’azione dei geni che riparano i difetti del DNA, facilitando la carcinogenesi. Sono alcune delle vie velenose con cui l’inquinamento ambientale incide sulla salute fisica e mentale del bambino e dell’adulto che sarà. In sintesi, la placenta è il primo sistema di messaggi che viaggiano da mamma a piccolino, e viceversa. Nelle gravidanze fisiologiche, in ambiente sano, la placenta protegge il feto. Ma può diventare vettore e causa di patologie del bambino, incluso il fare da tramite per veleni e tossici ambientali. Il punto critico, dal punto di vista del feto, è che la mamma fa parte dell’ambiente! Ecco perché è indispensabile che lei abbia stili di vita sani e viva in un ambiente il più integro possibile. Per tutti noi, un monito a vivere più consapevoli. E più rispettosi della terra che ci ospita. Siamo l’unica specie che, pur con vita breve, lascia un inquinamento pervadente e infinito. www.alessandragraziottin.it

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