Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 79, giorno 5. Crialese si perde
nell'immensità. La balena no

Lunedì 5 Settembre 2022

Il terzo film italiano in Concorso, il primo che si può definire tale del tutto, è il ritorno di Emanuele Crialese, a distanza di ben 11 anni da “Terraferma”. Duole dirlo ma, al momento, solo “Bardo” di Iñárritu è peggio di “L’immensità”, che paga un approccio timido al tema principale, una scrittura scricchiolante, una serie di personaggi piuttosto schematici, una confezione approssimativa. Il risultato è un film che non appassiona mai. Premesso che non se ne può più di film che riprendono titolo di canzoni e detto anche che hanno stufato personaggi che le cantano (in auto e non), nel jukebox della colonna sonora che non smette mai c’è perfino Penélope Cruz che fa le imitazioni di Raffaella Carrà e Patty Pravo, mentre è curioso che la canzone che dà il titolo al film si ascolti solo nei titoli di coda. Ma queste sono venialità. La storia è quella di una famiglia borghese, con una crisi di coppia in stato avanzato, dove uno dei figli è Adriana, che si sente in realtà maschio e vorrebbe essere chiamato Andrea, che è il grande tema della Mostra di quest’anno, con almeno una trentina di film lgbtq+. Per Crialese la tematica autobiografica forse è ancora troppo ingombrante tanto da lasciare il problema di Adriana ai margini, in modo superficiale, senza mai far esplodere il desiderio d’identità o la rabbia repressa, neanche quando l’occasione lo richiedeva (si confronti con il recente “Monica” visto l’altro giorno), ma questo è un problema personale che va rispettato, però è come abbandonare a se stesso il personaggio principale. In più non c’è un minimo di ricostruzione storica, a parte le canzoni, e sì che erano anni importanti di grandi cambiamenti (siamo a cavallo tra i ’60 e i ’70); i dialoghi non hanno efficacia se non mero chiacchiericcio e lo stile quando balza nel fantasmatico peggiora la situazione, rendendo vane le poche idee interessanti. Insomma tutto avrebbe meritato maggior coraggio. Non aiutano nemmeno gli interpreti, compresa la Cruz. È un po’ un “respiro” venuto male. Voto: 4.

Va solo un po’ meglio con “Les enfants des autres” della parigina Rebecca Zlotowski, che segue la vicenda di Rachel (Virginie Efira), professoressa innamorata del proprio lavoro, ma non altrettanto fortunata con gli uomini. In realtà lei vive la mancata maternità come un vuoto, mentre il suo attuale compagno (Roschdy Zem) ha già una figlia, la sorella partorisce presto e lei è costretta a destinare il suo amore ai figli degli altri. Il film indaga sugli aspetti intimistici della protagonista senza trovare un’emotività forte, usando i mezzi toni, e semmai sembra suggerire come una donna possa sentirsi realizzata solo con la maternità, non trovando troppa soddisfazione nel lavoro, nell’amore, nella vita sociale. Spicca il regista Wiseman nelle parti del ginecologo. Voto: 5,5.

A risollevare il livello arriva per fortuna “The whale”, ultima fatica di Darren Aronofsky. Dominato dalla figura di Brendan Fraser (da premio), ingrassato oltre modo, che dà corpo a Charlie, professore costretto a una quasi immobilità domestica per via della sua spaventosa obesità, ha la stessa vena malinconica e desolata di “The wrestler” (Leone d’oro 2008) e una unità di luogo come “Madre!” (una casa, qui una stanza), dove vanno avanti indietro un’infermiera asiatica, una figlia adolescente trascurata dalla nascita, un ragazzo affiliato a una setta religiosa, l’ex moglie lasciata per un uomo che nel frattempo si è suicidato. Tratto dalla pièce di Samuel D. Hunter, supera l’evidente dimensione teatrale grazie alla morbida regia di Aronofsky, qui assai misurato rispetto alla sua consuetudine, mettendo in campo il corpo da balena (echeggiata da riferimento melvilliano) al centro di pianeti che girano attorno: tutti mondi separati che non riescono a entrare in contatto e tutti personaggi che nascondono se stessi. Un film disperato sulla diversità (il monitor spento nella chat con gli studenti, acceso solo alla fine) e sulla solitudine, forse troppo gonfio di parole e situazioni al pari del corpo enorme, ma capace di accendere l’emozione: può ambire a premi. Voto: 7.

 

Ultimo aggiornamento: 07:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA