Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 79, giorno 4. Monica e Argentina,
giustizia e libertà. Rose e spine in Schrader

Domenica 4 Settembre 2022

Si procede senza grandi entusiasmi, ma anche senza totali delusioni, a parte il caso di Iñárritu, infilando film dignitosi, ma che non fanno scoccare la scintilla della sorpresa. Diciamo che per ora si può essere moderatamente soddisfatti per le scelte del Concorso, un po’ come è successo a Cannes. Ma siamo appena a un terzo del programma e le speranze sono ancora parecchie.

Ieri secondo film italiano in Concorso, e nemmeno questo si può dire italiano: dopo Guadagnino, ecco Andrea Pallaoro, trentino di nascita ma da tempo statunitense di adozione. “Monica” è il suo terzo lungometraggio e come il precedente “Hannah” è in gara a Venezia. La storia di una transgender che torna a casa per aiutare il fratello ad accudire la mamma anziana malata, senza che la genitrice sappia che in realtà è il figlio di un tempo, è descritta in modo lacerante e quasi silenzioso, in uno schermo dove l’immagine ristretta sembra consentire maggiore intimità. Ne è riprova che Trace Lysette è spesso inquadrata in primo piano, a camera fissa, in una staticità rigorosa che esalta la difficoltà di ogni rapporto. Il percorso di identificazione, personale e altrui, si consuma in momenti di speranza e abbandono: per fortuna Pallaoro non investe la storia con la tragicità che queste vite spesso si portano appresso, ma regola la riconciliazione con l’amarezza di chi sa che dovrà comunque fare sempre i conti con una diversità complicata, ma almeno in un ambiente familiare consapevole. Ovviamente toccante l’avvicinamento alla madre. Voto: 7.

La classicità di “Argentina, 1985” forse toglie una carica esteticamente affascinante al film, che spesso ha un andamento lineare quasi televisivo, ma indubbiamente questo è un cinema di contenuti, che poi alla fine sono quelli che piacciono di più al pubblico e anche, purtroppo, alle giurie. Da questo punto di vista l’ultimo film di Santiago Mitre, che aveva già esplorato le coordinate politiche soprattutto con “Il presidente”, qui penetra nel cuore privato del processo svoltosi a Baires, alla caduta della dittatura dei militari di Videla. Lo fa concentrandosi sulla figura di Julio Strassera, nominato pubblico ministero, passando ovviamente attraverso tutti i tentativi, in realtà quasi sempre minacce, per farlo desistere. Anziché puntare sull’ovvia connotazione da thriller, si dimostra di certo felice la scelta di usare in contrappunto la commedia (e certo si ride più volte), specie tra le mura domestiche, con la figura del piccolo figlio in una sorta di sagace spia fanciullesca, mentre l’emozione e il rancore scattano automaticamente davanti ai tristemente noti fatti criminali di una dittatura feroce. Ma non è certo un film che sorprende per originalità, a differenza di altri lavori sulle dittature sudamericane elaborate da Larraín e Bechis. Voto: 6,5.

Terzo film in Concorso “All the beauty and the bloodshed” di Laura Poitras è un documentario sulla figura d’artista e privata di Nan Goldin, che nella sua lunga battaglia ha cercato di vedere condannata la famiglia Sackler per aver commercializzato farmaci che hanno causato, per overdose, la morte di moltissime persone. Ci si avventura nella complicata vita familiare (specie con la sorella Barbara) e pubblica, attraverso fotografie, filmati e racconti non sempre trovando un equilibrio, ma ridando voce a una battaglia civile importante. Voto: 6.

Infine Fuori Concorso ecco l’ultima opera del Leone alla carriera Paul Schrader. “Master gardener” chiude una trilogia recente, dopo “First reformed” e Il collezionista di carte”, ritornando ancora sui temi della colpa e della redenzione, qui incarnati da un maestro giardiniere (Joel Edgerton), dall’oscuro passato, svelato dai suoi tatuaggi, che deve insegnare il mestiere alla giovane Maya (Quintessa Swindell), pronipote della datrice di lavoro Norma (una glaciale e crudele Sigourney Weaver). Se la scrittura non si discute, forse dei tre è il film meno intenso e meno appassionante, ma le metafore danno forza (il giardino come luogo di un Eden possibile ma macchiato dalla cattiveria umana, la distruzione e la rinascita), mentre la violenza si affievolisce rspetto al passato e i personaggi trovano a loro modo una strada per ricomporre la propria vita, in pace forse anche i propri fantasmi. Le rose e le spine. Voto: 7.

Ultimo aggiornamento: 14-09-2023 14:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA