Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 79, giorno 2. L'esibizionismo di Bardo
Cate Blanchett bacchetta tutti

Venerdì 2 Settembre 2022

Forse prima o poi non ci sarà più nessuno a riconoscere ad Alejandro G. Iñárritu talento e credibilità, via via dilapidate dal regista messicano dai tempi, rispetto a oggi assai più convincenti, di “Amores perros”, film d’esordio e a tutt’oggi il suo migliore, mostrando soprattutto con “Babel” e “Biutiful” la capacità di sciupare soggetti interessanti, dentro al suo cinema architettonicamente ingombrante e contenutisticamente vacuo. Si può obiettare che, avendo vinto premi e riconoscimenti (compreso qualche generoso Oscar), qualcosa di buono c’è anche nel suo cinema, ma in realtà “Bardo”, che contiene nel titolo quasi wertmülleriano anche “Falsa cronaca di una manciata di verità”, passato ieri in Concorso è il nadir di una carriera quantomeno altalenante ed è la prima grande delusione di questa Mostra. È la storia di Silverio, giornalista e documentarista messicano trasferito da tempo negli Usa, che torna al suo Paese per ricevere un premio, trasformando il viaggio nell’inevitabile ricostruzione di una vita tormentata e contradditoria, nella quale si può leggere anche un rilettura personale del regista. Costruito a interminabili blocchi di scene madri, dove ogni immagine si divora per inutile, ardito stupore quella precedente, il film smodatamente ambizioso va sulle tracce pericolose di Fellini (pur sembrando sacrilego il riferimento a “8 ½” echeggia sonoramente), Bergman (soprattutto “Il posto delle fragole”) e rispetto a “ROMA” del connazionale Cuarón (Leone d’oro 2018), dove l’estetica ricercata ha radici solide, sciupa l’almanacco dei ricordi, qui raccolti in una sarabanda infinita. Tra campi di battaglie e balere assordanti, incontri con il padre e la madre, città vuote e gente che crolla improvvisamente a terra, fughe di indios in massa e montagne di corpi, bambini che non vogliono nascere e pesci fuor d’acqua, camminate e voli nel deserto, grandangoli sparati e bande rumorose, il film finisce vittime della propria bulimia, che nemmeno Kusturica. Nel suo continuo cedimento esibizionista (perfino maggiore rispetto anche a “Birdman”), “Bardo” è un film insopportabile, la cui durata (3 ore) allunga inopportunamente la visione. Voto: 2.

Va decisamente meglio con l’altro film in gara per il Leone: “Tár” del regista statunitense Todd Field, più noto come attore. Un film concentrato unicamente sulla figura attoriale di Cate Blanchett (al solito capace di attrazione superlativa), che qui diventa Lydia Tár, direttrice di una importante orchestra tedesca (Berliner?), una delle poche donne sul podio in un mondo dominato dai maschi, per di più lesbica, quindi doppiamente attaccabile. In realtà Tár è un personaggio controverso e tutt’altro che docile, attraversando il film con azioni non condivisibili, come l’aggressione durante l’esibizione della Quinta di Mahler del direttore che l’ha appena sostituita, o quando finge di essere stata aggredita, nonché rendendosi responsabile del suicidio di una sua collaboratrice. Field, che non gira film da 16 anni dai tempi “Little children”, propone una composizione in più movimenti, tra l’austera messa in scena di interviste e fatti pubblici, e la sofferta quotidianità affettiva, dilungandosi a volte un po’ noiosamente sugli aspetti musicali, ma dando corpo agli intarsi continui con una regia geometrica. Film robusto, attraente: peccato solo che il rigore delle prime due ore si perda un po’ nella parte finale, al contrario corriva e debolmente rappresentata. Voto: 6,5.

Ma il film migliore del giorno, tra quelli visti, sta in Orizzonti Extra. “L’origine del male” di Sébastien Marnier racconta la strategia dell’operaia Stéphane che torna nella sua ricca famiglia perduta in Costa Azzurra, presentandosi a un padre che di fatto non l’ha mai vista crescere. Marnier dirige un crudele, e a suo modo divertente, puzzle familiare di furti d’identità e inganni continui, dove tutti sfruttano tutti, nascondendo la verità per proprio tornaconto. Nel suo ricordare la perfidia astiosa della serie tv “Succession”, si tratta di un neonoir scritto abilmente e chiuso dall’inevitabile beffa. Voto: 7.  

Ultimo aggiornamento: 14-09-2023 14:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA