Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 78, giorno 5. Sole spento, luna anche
Ci si consola con le illusioni perdute

Lunedì 6 Settembre 2021

Non una grande giornata, quasi una brusca frenata, con due film deboli, quando non sconcertanti, per fortuna ravvivata da una provvidenziale accelerazione dal terzo titolo in Concorso, pur nella sua classicità e convenzionalità. Si potrebbe dire che le colpe delle giurie non si esauriscono nel giorno delle premiazioni. Rischiano di rendere appetibili registi che in fondo non lo meriterebbero troppo. Michel Franco è senza dubbio uno di questi. Il regista messicano, premiato l’anno scorso qui al Lido con il Gran Premio per “Nuovo orden”, dopo ulteriori riconoscimenti a Cannes, da sempre ingaggia una specie di sfida con lo spettatore, con opere scostanti, puntigliosamente aggressive, attraverso narrazioni destabilizzanti a costo di produrre choc forzati e a volte pretestuosi (si pensi al finale di “Chronic”), in una chiave di violenza esibita. Con “Sundown”, passato ieri in Concorso, probabilmente tocca il punto più basso della sua carriera. Siamo ad Acapulco, dove Alice ed Neil Bennett (che all’inizio si possono scambiare tranquillamente per marito e moglie), con i due figli adolescenti di Alice, si godono una vacanza. La notizia della morte della mamma (e nonna) porta i quattro a partire precipitosamente, ma al momento di fare il check-in, Neil si accorge di aver scordato o perduto il passaporto. E non parte. In realtà è una scusa. Michel Franco imbastisce un racconto che tiene alta inizialmente la curiosità, volendo sfregiare l’apparente solidità di una famiglia sfacciatamente ricca e borghese. Ma una volta sistemati i primi dettagli di una storia tutta in costruzione, tale costruzione si limita ad assecondare il suo gusto continuo della provocazione, lasciando che la narrazione scorra in frammenti continuamente inspiegati, dove l’ellissi è solo un compiacimento personale, chiudendo il film, tra scatti di violenza e imprevedibili svolte amorose, in modo altrettanto menefreghista; e basterebbe l’attonita interpretazione di un sonnambulo e inebetito Tim Roth a rendere il senso inizialmente di una metafisica inquietante in una colossale e inaccettabile beffa continua per lo spettatore. Voto: 2.

Un’altra regista amata sorprendentemente dalle giurie è Ana Lily Amirpour, che torna a Venezia dopo lo sconcertante Premio speciale nel 2016 al suo precedente film “The bad batch”. Forte di questo riconoscimento, adesso ci propina un filmetto così elementare da essere più consono a un videoclip. La storia è quella di Mona (che è Jeon Jong-seo, ammirata in “Burning”), ragazza psicopatica che scappa dall’ospedale dove è rinchiusa e che usa i suoi poteri straordinari per costringere le persone ad autopunirsi. Forte di questa sua azione moralizzatrice, Mona instaura una fragile amicizia con uno spacciatore e si fa “adottare” da una pole dancer con figlio, mentre vaga per le strade notturne di New Orleans, specialmente Bourbon Street, come fosse in una celebre canzone di Sting. Tra martellante musica techno (spunta anche una cover di “Odio l’estate”) e un gusto ipnotico dell’ambientazione, la Amirpour non sa costruire né veri personaggi, che restano tutti in superficie, né una narrazione intrigante, finendo presto in surplace. Più banale e inutile che brutto, “Mona Lisa and the blood moon”, si spegne con l’ennesima inquadratura della luna, che forse a quel punto si è annoiata come noi. Voto: 4.

Grazie al cielo un film che rischiava di essere un polpettone, nella sua classicità invece regala l’unica scossa positiva. Siamo dalle parti del romanzo di Honoré de Balzac (“Illusions perdues”), dove un giovane poeta di campagna, si reca a Parigi in cerca di notorietà. Qui, mentre la capitale è divisa tra monarchici e liberali, e il giornalismo inizia a diventare una professione, anche ben remunerata specie nella corruzione dilagante, Lucien finisce in un giro di nobili e giovani rampanti, menzogne e doppi giochi, trasformando la fama costruita faticosamente in un fallimento totale, perdendo ogni conquista, amore compreso. Xavier Giannoli riesce nell’intento di rendere accattivante un film molto scritto e ben interpretato, rendendo sopportabilissime le due ore e mezzo, senza divagazioni estetiche e un senso del racconto, pur con l’aiuto di Balzac, apprezzabile. Voto: 6,5.

Adriano De Grandis

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 06:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA